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Autunno caldo in Turchia: scioperi ovunque per salari dignitosi

Autunno caldo in Turchia: scioperi ovunque per salari dignitosiLa mobilitazione degli operai di Polonez

Diritti Proteste in aumento malgrado le pressioni sui lavoratori e la repressione. Fatih Danısan del sindacato Öz Büro-Is: «Sarar offre degli aumenti a chi lascia il sindacato. Ma molti clienti, dopo aver ascoltato le nostre ragioni, decidono di boicottare l’azienda». Gli operai della Fernas, un'azienda mineraria, hanno deciso di camminare da Soma ad Ankara a piedi nudi

Pubblicato circa 4 ore faEdizione del 10 ottobre 2024

In Turchia sono in corso almeno 21 scioperi in diverse città e un lungo cammino a piedi nudi verso la capitale del Paese. La profonda crisi economica, il potere d’acquisto crollato e gli aumenti di salario ridicoli o inesistenti si mescolano con la solidarietà verso la Palestina. I lavoratori e le lavoratrici stanno bloccando i meccanismi della produzione.

Tarkett, azienda francese, ha una filiale in Turchia, dove 45 operai sono in sciopero da quasi venti giorni. Chiedono un aumento dei salari, attualmente di 24 mila lire turche (circa 630 euro). Sivan Kırmızıçiçek, presidente del sindacato Petrol Is di Gebze, afferma: «Abbiamo cercato un dialogo dieci giorni prima dello sciopero, ma l’azienda ha preferito corrompere o minacciare i lavoratori iscritti al sindacato. Questo salario è miserabile, viste le condizioni economiche del Paese».

SARAR, AZIENDA TURCA nel settore dell’abbigliamento di lusso, ha 400 dipendenti presso 64 negozi in 29 città, e da oltre un mese i lavoratori sono in sciopero. Fatih Danısan, del sindacato Öz Büro-Is, spiega: «Abbiamo negoziato per circa nove mesi un aumento del 15%, ma è stato rifiutato. L’azienda ha convinto alcuni dipendenti a lasciare il sindacato in cambio di un aumento sostanzioso, che però non è mai stato concesso. Nei centri commerciali dove scioperiamo, molti clienti, dopo aver ascoltato le nostre ragioni, decidono di boicottare Sarar».

Scioperi sono in corso anche nella città di Hatay, colpita gravemente dai terremoti del 2023. Più di 300 operai dell’azienda metallurgica Yolbulan incrociano le braccia da oltre tre mesi, chiedendo un aumento dignitoso. Yunus Desirmeci, presidente generale del sindacato Özçelik-Is, riassume così le loro rivendicazioni: «Ci sono operai con almeno 10 anni di esperienza che percepiscono 20 mila lire (circa 530 euro) di stipendio. Noi chiediamo che lo stipendio base sia fissato a 30 mila lire (circa 800 euro)».

ANCHE GLI OPERAI DI POLONEZ, nota azienda produttrice di carne, sono in sciopero dal 17 luglio, chiedendo un aumento dei salari e protestando contro il licenziamento di 135 colleghi iscritti al sindacato. Sathı Savas, uno degli operai, spiega che inizialmente sono stati licenziati 13 lavoratori per presunti tagli ai costi, seguiti da altri 122 con accuse di reati, colpendo così solo gli iscritti al sindacato. Ora, l’80% dei lavoratori rimanenti è sindacalizzato. Chiedono di rivedere gli stipendi attuali che variano tra 13 e 16 mila lire (345-425 euro). Al 53mo giorno di sciopero, durante una protesta a Üsküdar, il commissario di polizia ha minacciato gli operai, dichiarando che un arresto comprometterebbe anche il futuro dei loro figli, evidenziando la pressione esercitata dalle forze dell’ordine sui lavoratori.

Secondo il principale sindacato confederale della Turchia, DISK (Sindacato dei Lavoratori Rivoluzionari), dal 2015 al 2022, 230 scioperi in Turchia sono stati vietati per decisione del presidente Erdogan, accusati di essere una «minaccia alla sicurezza nazionale». Tuttavia, nel 2022 si sono svolti 197 scioperi, un record nella storia della Repubblica.

As Plastik, Fernas, Akcanlar e Az Plastik sono alcune delle aziende in cui sono in corso scioperi da giorni o settimane. In particolare, gli operai della Fernas, un’azienda mineraria, hanno deciso di camminare da Soma ad Ankara a piedi nudi. Il 3 ottobre, gli operai sono stati accolti da alcuni parlamentari d’opposizione durante una conferenza stampa, ma gli agenti all’interno del parlamento nazionale hanno impedito ai giornalisti di usare macchine fotografiche, telecamere o registratori audio.

KIVANÇ ELIAÇIK, responsabile delle relazioni internazionali del sindacato DISK, descrive la crisi: «I prezzi dei beni di prima necessità e degli affitti aumentano, mentre i salari restano bassi. Oltre a rivendicazioni economiche, i sindacati si mobilitano in solidarietà con la Palestina. La Turchia è tra i dieci peggiori paesi per i diritti dei lavoratori, con multinazionali che approfittano della situazione licenziando chi protesta. Nonostante le restrizioni, i lavoratori continuano a organizzare proteste di grande impatto».

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