C’è l’ha fatta allora al primo turno Alexander Van der Bellen, “Sascha” per i suoi fan in festa. Domenica è stato rieletto presidente della repubblica con il 56% dei voti, risultato che dovrebbe crescere con l’arrivo dei voti per corrispondenza. «Ho preso più voti degli altri sei candidati messi insieme» ha esultato l’ex capogruppo dei Verdi, figlio di rifugiati dell’Estonia cresciuto in Tirolo, in risposta ai detrattori che sminuivano il risultato, con l’argomento che sempre i presidenti vengono rieletti per un secondo mandato, e che altri prendevano anche fino all’80% dei voti. Erano tempi diversi, e non si trattava di presidenti espressi dai Verdi.

L’ex professore ha vinto poi senza personalmente fare alcuna campagna elettorale «i cittadini mi hanno conosciuto in carica, visto all’opera». In effetti dopo lo scandalo Ibiza che ha travolto la Fpoe, che poi ne ha scoperchiato uno molto più grande facendo cadere Sebastian Kurza, Van der Bellen è rimasto l’unico riferimento stabile, costretto a nominare ministri e cancellieri raffica in una sola legislatura. «Così non siamo» è stata la sua frase diventata famosa «ma lo dobbiamo dimostrare».

Al secondo posto si è piazzato Walter Rosenkranz della xenofoba Fpoe col 17,9%, ben lontano dal risultato di Horbert Hofer del 2016. Al terzo posto, ed è il fatto più sorprendente di queste elezioni, è arrivato il più giovane e più outsider, Dominik Wlazny, alias Marco Pogo. Musicista rock punk, medico e imprenditore, già fondatore di un satirico Partito della birra con un programma via via diventato più serio e più politico, di sinistra alternativa, è arrivato all’8,4%.

«Empatico e inclusivo» viene descritto, con nessuna organizzazione dietro, ma tanti giovani volontari, cartelloni scritti a mano, ha superato i due candidati di estrema destra sostenuti dai più diffusi media: Tassilo Wallentin promosso dal tabloid Kronenzeitung è al 8,3 e Gerald Grosz, su cui puntavano il quotidiano gratis Oesterreich e la tv oe24, è al 5,5%.
Interessante il gap generazionale e regionale. Tra gli elettori sotto i trenta Wlazny è al secondo posto, col 20% dei consensi, mentre agli over sessanta piace solo al 3%.

Vienna si conferma per la sua vocazione più a sinistra, anche se le elezioni presidenziali non sono strettamente lo specchio delle politiche: Alexander Van der Bellen ha ottenuto il 64% dei voti, seguito al secondo posto da Dominik Wlazny, con l’11%, lo stesso risultato che nella capitale ha raggiunto Walter Rosenkranz della Fpoe.

I quattro candidati della destra, un blocco oltre il 30%, risultano votati più dai maschi e da persone poco istruite, oltreché dalla parte “turchese” filo Kurz dei popolari (Oevp) che non si sono presentati (così come i socialdemocratici, ma per scelta, che sostenevano il cavallo vincente Van der Bellen). Così hanno raccolto più voti del partito di estrema destra Fpoe quotato intorno al 22%.