La croce per il governo è sempre la stessa: il Pnrr, un tunnel in fondo al quale non si vede ancora la luce. Ieri ci si è messo anche il Fondo monetario internazionale con le sue «raccomandazioni» all’Italia, che essenzialmente sono due. La prima riguarda il debito pubblico e fa seguito a una succinta analisi della fase: il debito è alto, il finanziamento più rigido per la stretta sui tassi, la disinflazione va sostenuta. Conclusione: «Si consiglia opportunisticamente di risparmiare la maggior parte delle entrate» e naturalmente «una piano credibile di riduzione del debito a medio termine attenuerebbe ulteriormente i rischi legati al debito». Insomma: austerità, austerità, austerità. Giorgetti risponde un po’ piccato: «Lo stiamo già riducendo. È l’impegno che ci siamo assunti e lo affronteremo».

LA SECONDA raccomandazione passa dalla sfera del «consigliabile» a quella della «necessità»: una «piena e tempestiva attuazione del Pnrr è necessaria». Quella sì che «aiuterebbe l’Italia ad affrontare le sfide che lo attendono». Solo che al momento si tratta di un miraggio. Ieri la Corte dei conti ha ufficializzato la situazione del Piano: alla fine del 2022 lo stato di avanzamento della messa a terra del Pnrr era del 12,8. Ora, dopo 5 mesi, è arrivata solo al 13,4% del totale. Sono stati spesi un miliardo e 200 milioni sui 33 che dovrebbero essere investiti quest’anno.

DAL FESTIVAL dell’Economia di Trento il responsabile dell’attuazione del Piano, il ministro Fitto, respinge ogni critica e anzi definisce «abbastanza singolare» parlare di ritardi nell’attuazione del Piano. «Dobbiamo procedere con le modifiche del Piano velocemente ma non di fretta», sostiene. Altrimenti le cose diventerebbero «più pericolose». Però è stato proprio lui, il non prescioloso Raffaele Fitto, a spedire una lettera ai ministri spronandoli a definire le modifiche del Piano da sottoporre all’Europa, con tanto di data auspicata pur se non ultimativa.

Sperava nei dettagli due giorni fa, non è stato accontentato. I ministri non hanno fretta. L’aspetto più preoccupante però non è tanto la resistenza dei vari dicasteri a rivedere i loro obiettivi o a sacrificarne alcuni. È invece la totale assenza di una logica coerente e omogenea agli obiettivi di fondo europei che dovrebbe guidare la «rimodulazione a 360 gradi» del Piano e che invece è latitante.

IL PIANO è lo scoglio principale, non l’unico guaio: dopo il Report durissimo della Commissione europea, ora è l’Ufficio parlamentare di bilancio, del resto una sorta di longa manus europea nel Parlamento italiano, a bocciare senza appello la Flat Tax, con motivazioni identiche a quelle della Commissione. La tassa piatta, sottolinea la presidente dell’Upb Cavallari nella nota trasmessa al Parlamento, «determina effetti redistributivi che penalizzano i soggetti con redditi medi e favoriscono quelli con redditi più elevati». Salvo naturalmente «rinunciare a una elevata quota di gettito», il che però, va da sé, avrebbe effetti nefasti sui conti pubblici e tombali sul welfare. L’Upb esprime rilievi anche sulla delega fiscale, in particolare per quanto riguarda le coperture.

SU TUTTO QUESTO Giorgia Meloni, anche lei al Festival di Trento, non si è esposta nemmeno un po’. Agevolata da domande non precisamente affilate, ha dribblato tutti i nodi reali, dallo stato del Pnrr alle critiche della Comissione su tutte le principali leggi in agenda. In compenso ha esaltato e difeso a spada tratta quanto fatto sinora, in particolare il cuneo fiscale, che mira a far diventare strutturale. Ritiene che raggiungerà gli obiettivi mancati dai precedenti tagli del cuneo affini sia per le dimensioni maggiori sia perché, invece di essere spalmato su tutta la platea , è mirato sulle fasce più povere.

Nessuno spiraglio invece sul salario minimo: «È un’iniziativa buona sul piano filosofico. Ma se fosse sostitutivo e non aggiuntivo rispetto alla contrattazione collettiva sarebbe un boomerang, darebbe minori e non maggiori tutele. Io sto cercando di fare una cosa più concreta».

DI SFUGGITA, la premier fa il punto anche sullo stato dei rapporti con la Francia e con Macron: al netto delle esigenze propagandistiche interne e nelle cose concrete, giura, sono ottimi.