Negli ultimi cinque anni il diritto del lavoro è stato stravolto da interventi organici sui quali campeggiano la riforma del mercato del lavoro della Fornero e il Jobs Act, che hanno smantellato gran parte delle tutele dei lavoratori e delle lavoratici conquistate nel corso di quasi un secolo.

Se però si prova a parlare male di queste riforme, si viene tacciati di avere dei pregiudizi, di essere ideologici e addirittura «cavernicoli», perché le critiche sarebbero contraddette dalla realtà dei dati.

Con il Jobs Act l’occupazione cresce (e non importa che nel ultimo anno crescano solo contratti a termine, +96%), ogni critica è considerata fuori luogo. Non importa se il lavoro è più povero, se continua a crescere la precarietà, se le condizioni di lavoro peggiorano e i lavoratori sono sempre più ricattabili, se le nuove assunzioni sono spesso dopate dagli incentivi.

Il nuovo credo è che gli imprenditori hanno preso sempre e comunque il posto del «buon padre di famiglia», figura tanto famosa nella nostra tradizione giuridica, e non possono che volere il bene dei propri dipendenti. I lavoratori, invece, a parti ribaltate, sono diventati quasi dei furbetti le cui garanzie sono in grado di arrecare danno alle imprese e all’economia.

I dati, poi, sono buoni quando confermano la convinzione di chi governa di essere nel giusto. Se raccontano una storia diversa diventano trascurabili o si tacciono.

Chi mette in evidenza che i dati raccolti dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps dicono che i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo negli ultimi quattro anni sono cresciuti quantitativamente in maniera consistente (percentuali a due cifre) per tutte le tipologie di rapporto di lavoro e soprattutto nelle aziende sopra i 15 dipendenti? Per questi licenziamenti l’articolo 18 prevedeva la reintegrazione nel posto del lavoro, mentre oggi è previsto un risarcimento e il lavoratore deve ringraziare e tacere, perché se prova ad avviare un contezioso legale si espone al rischio di consistenti esborsi economici.

Infatti, tra le altre novità delle riforme vi è anche l’onerosità del contenzioso del lavoro, in particolare nel caso di licenziamento, che invece prima era gratuito.

Se oggi un operaio licenziato fa causa, rischia più facilmente di perdere e di essere rovinato dalla condanna, senza neppure avere la prospettiva in caso di vittoria, come in passato, di un consistente risarcimento deciso dal giudice o convenuto in sede sindacale. L’indennizzo oggi è diventato tabellare e irrisorio, disincentivando i ricorsi .

In questo contesto, la battaglia che Sinistra Italiana sta conducendo in questi giorni in Parlamento per reintrodurre la reintegrazione del lavoratore ingiustamente licenziato, non è di retroguardia, ma il tentativo, contro la maggioranza di governo, di provare a invertire la rotta, a partire da un architrave del diritto del lavoro.

Avere lavoratori che non vivano con il timore e, in alcuni casi, la minaccia del licenziamento non fa bene solo ai lavoratori, ma fa bene alla produttività delle imprese e all’economia italiana.

Perché, tra le altre cose, con le nuove regole, anche le retribuzioni possono essere riviste al ribasso unilateralmente dal datore di lavoro e in caso di disaccordo del lavoratore la minaccia di un licenziamento non è una preoccupazione immaginaria.Il lavoratore è rimasto disarmato nella crisi feroce di questi anni ed è diventato sempre più l’anello debole di una catena sociale nella quale la ricchezza si è polarizzata sempre più nella mani di pochi, sono saltati i meccanismi di redistribuzione, il sistema pensionistico è stato trasformato in un bancomat per il debito pubblico e, con le tasche vuote dei lavoratori, la domanda e i consumi si sono ridotti.

Il mondo è cambiato, è vero, la globalizzazione e la robotizzazione hanno posto il mondo del lavoro dinanzi a sfide a cui occorre dare risposte, ma la retorica che per costruire nuovi diritti per i lavoratori bisogna azzerare tutti i diritti precedenti non ha solo generato ingiustizia, ma è anche sbagliata.

È sbagliata perché i nuovi diritti si costruiscono dove già c’è una base di diritti forte. L’ultraliberismo si è rivelato una catastrofe in economia e lo è anche nel diritto del lavoro.

Un nuovo articolo 18 come quello riscritto dalla Cgil nella proposta di legge di iniziativa popolare firmata da oltre 1 milione e 100 mila lavoratori e che abbiamo fatto nostro nella proposta di legge non è la risposta a tutto.

Però se il Parlamento l’approverà, la tutela reintegratoria contro i licenziamenti illegittimi sarà l’inizio di una nuova costruzione e un cambio di traiettoria che può farci tornare non solo a sentirci, ma ad essere sinistra.

* deputato di Sinistra italiana