La comunità hazara di nuovo sotto attacco. In particolare, giovani studentesse e studenti. Sono loro le vittime dell’attentato di ieri al centro educativo Kaaj, a Dasht-e-Barchi, quartiere sud-occidentale di Kabul simbolo della minoranza sciita degli hazara. Istituto privato che prepara agli esami di ammissione per l’università, aperto a ragazze e ragazzi nonostante l’Emirato abbia disposto la chiusura degli istituti superiori femminili, il Kaaj è stato l’obiettivo di un attentatore suicida.

Il bilancio è gravissimo, ma incerto: i funzionari dell’Emirato islamico – il governo dei Talebani – sostengono che le vittime siano 19, decine i feriti. Ma sui canali social afghani già nel pomeriggio – quando ancora molte famiglie vagavano di ospedale in ospedale, continuando a chiamare telefoni ormai muti – circolava una cornice riempita di 30 volti. Volti di ragazze giovanissime, tutte decedute. Sono loro, studentesse hazara, l’obiettivo e le vittime: secondo Dejan Panic, acting country director in Afghanistan di Emergency, il loro ospedale di Kabul ha ricevuto 22 pazienti, di cui 20 donne, tra i 18 e i 25 anni. Una strage, ma non isolata: «Solo negli ultimi due mesi, nel nostro ospedale abbiamo gestito 11 mass casualties, tanto da dovere attivare procedure d’emergenza straordinarie».

NEL PAESE, IN PARTICOLARE a Kabul, tira una brutta aria, come dimostra l’attentato di venerdì 23 settembre in una moschea del quartiere di Wazir Akbar Khan.

I giornalisti di Etilaatroz – quotidiano investigativo il cui direttore abbiamo incontrato a Kabul prima che fosse costretto a trasferirsi all’estero – hanno diffuso video e foto dei momenti precedenti e successivi all’attentato di ieri. Colpiscono due foto. Una mostra il “prima”: una sala gremita, divisa a metà (di qua i ragazzi, di là le ragazze), 500 studenti che si preparano per il konkur, il concorso di ammissione all’università pubblica che provoca nottate insonni. La foto successiva mostra il dopo, la sala quasi vuota. Detriti e chiazze di sangue. Vittime, in particolare, le ragazze: erano sedute nella parte più bassa dell’aula, vicina al punto in cui si sarebbe fatto esplodere l’attentatore, che prima ha sparato sui guardiani della scuola, all’ingresso. Sentiti gli spari, ha spiegato il direttore del centro, Mukhtar Mudabir, che ha perso una figlia 17enne, i ragazzi si sarebbero affrettati verso l’ingresso. Non le ragazze.

IN PASSATO, SIMILI STRAGI sono rimaste senza rivendicazione. O sono state rivendicate dalla branca locale dello Stato islamico, “la provincia del Khorasan”, che ha gli sciiti come bersaglio prioritario. Ma sotto processo sono anche i Talebani, autorità di fatto dall’estate del 2021.

Fereshta Abbasi, ricercatrice di Human Rights Watch per la divisione asiatica, ricorda che un giorno i leader dei gruppi armati dovrebbero rendere conto alla giustizia «per le atrocità contro gli hazara e altre comunità». E aggiunge che «i funzionari talebani che non riescono a proteggere le minoranze religiose da tali attacchi potrebbero essere considerati complici».

La complicità dei Talebani è una questione su cui molto insistono gli hazara, anche quelli della diaspora. E da molto tempo. Inedito, invece, il commento arrivato ieri da Baghdad. Viene dal leader sciita Muqtada al-Sadr, peso massimo della politica irachena e regionale. Per la prima volta, accusa apertamente i Talebani, giudicati incompetenti. Tanto da richiedere «l’intervento della comunità internazionale per proteggere i musulmani in Afghanistan».

Curiosa coincidenza: la dichiarazione – fa notare il ricercatore Abdul Sayed – arriva mentre è in visita ufficiale in Iraq, insieme ad alcuni leader afghani sciiti, Atta Mohammad Noor, già signore della guerra, poi dominus e governatore della provincia di Balkh, ora “esule”. Fiero anti-talebano, è tra quelli che non rinunciano all’idea dell’opposizione armata all’Emirato, la cui pretesa di garantire sicurezza e stabilità non è mai stata presa sul serio a Dasht-e-Barchi, il quartiere hazara di Kabul.