«Attaccati dai libici, hanno sparato contro la nostra nave»
Riccardo gatti, capomissione della proactiva open arms Per una Ong lavorare oggi nel Mediterraneo è particolarmente difficile. Si percepisce il rifiuto verso quello che facciamo insieme ai tentativi di fermarci con accuse infondate
Riccardo gatti, capomissione della proactiva open arms Per una Ong lavorare oggi nel Mediterraneo è particolarmente difficile. Si percepisce il rifiuto verso quello che facciamo insieme ai tentativi di fermarci con accuse infondate
«Siamo stati aggrediti senza motivo dalla Guardia costiera libica che ci ha prima sparato contro e poi ha minacciato di ucciderci se ci rivedranno. Militari che si trovavano a bordo delle motovedette fornite alla Libia dall’Italia». Riccardo Gatti è uno dei capi missione della Proactiva open arms, Ong spagnola impegnata da mesi nei salvataggi dei migranti in acque internazionali al largo delle coste libiche. Per tre giorni, fino a ieri, Gatti è stato alla Valletta in attesa di potersi imbarcare sulla «Golfo azzurro», un’altra nave dell’organizzazione a cui Malta ha proibito l’attracco. Ieri l’equipaggio ha deciso di partire e di dirigersi verso la Sicilia, dove però fino a ieri sera non è potuta arrivare perché il governo italiano non ha concesso il permesso di entrare in acque italiane. E questo anche se proprio ieri i responsabili dell’organizzazione hanno firmato al Viminale il Codice di comportamento per le Ong.
Gatti cosa è successo con i militari libici?
Lunedì la nave «Open arms» stava navigando verso Ovest a circa 13 miglia dalla costa libica, quindi fuori dalle acque territoriali della Libia, quando è stata avvicinata da una motovedetta della Guardia costiera di Tripoli, una di quelle fornite dall’Italia, che ha contattato la Open arms via radio dicendo che doveva allontanarsi. Parlavano in maniera molto aggressiva, dicendo che se avessero avvistato un’altra volta la nave avrebbero sparato senza avvisare. Lo hanno ripetuto tre o quattro volte continuando ad avvicinarsi. Quando sono arrivati a circa 300-350 metri di distanza hanno sparato delle raffiche di mitra che per fortuna non hanno ferito nessuno. Poi si sono allontanati. Prima di sparare ci hanno accusato di essere in combutta con i trafficanti e di guadagnare soldi con il traffico di persone.
E’ sicuro che fosse la Guardia costiera di Tripoli?
Siamo in quelle acque da tanti mesi e ormai li conosciamo. Di Guardie costiera ce ne sono fondamentalmente due, quella di Zuwara e quella di Tripoli. L’abbiamo riconosciuta, era quella di Tripoli.
In che condizioni lavorano ora le Ong nel Mediterraneo?
Fino a qualche mese ci si lamentava dell’assenza dell’Europa. Oggi la presenza europea non è di appoggio alle Ong bensì di ostacolo. Si cerca di fermare le Ong come si sta facendo con la Iuventa (la nave della Ong tedesca Jugend Rettet sequestrata dalla procura di Trapani, ndr) con pretesti molto discutibili. Si cerca di frenare il flusso migratorio attraverso accordi con milizie libiche che sono incontrollabili, quindi il sostegno al nostro lavoro è praticamente inesistente. Si sente il rifiuto verso quello che facciamo, la voglia di fermare le Ong. Penso che quello che è successo a noi con la Guardia costiera libica o al fatto che si permetta a un’associazione di estrema destra come «Generazione identitaria» di arrivare fino a dove operiamo e provare a fermare operazioni di salvataggio messe in atto rispettando le regole internazionali. Sono fatti che spiegano bene le difficoltà con cui operiamo.
Un’altra vostra nave, la Golfo azzurro è rimasta tre giorni ferma al largo di Malta. Cosa succede?
Rimaniamo in standby, stiamo ancora aspettando che qualcuno ci dica dove dobbiamo andare. Domenica l’Italia ci ha vietato l’attracco a Lampedusa e non sappiamo perché. I tre migranti che abbiamo a bordo sono di origine libica e sono stati soccorsi a cento miglia dalla Libia, in una zona molto vicina all’area Sar maltese in un’operazione richiesta e coordinata dalla Guardia costiera di Roma. Abbiamo richiesto lo sbarco a Lampedusa, il porto più vicino, dove volevamo anche procedere al cambio di equipaggio ma ci è stato rifiutato il permesso e ci è stato detto di chiamare Malta, proprio perché eravamo in zona Sar di sua competenza. Cosa che abbiamo fatto e Malta ci ha rifiutato. A questo punto abbiamo pensato che forse c’era un problema amministrativo visto che si tratta di una zona Sar di Malta coordinata però dall’Italia. Credevamo che si sarebbe risolto tutto presto. Col passare delle ore invece ci siamo resi conto di essere stati lasciati fuori. Alla fine abbiamo deciso di muoverci e dirigerci verso la Sicilia, Ora (ieri sera, ndr) siamo di fronte a Pozzallo, ma non abbiamo ancora il permesso di entrare in acque italiane. Tutto questo per sole tre persone da sbarcare.
Le Ong sono accusate di favorire indirettamente i trafficanti con il loro lavoro.
Se si ascoltano gli audio delle comunicazioni Vhs dell’organizzazione di estrema destra Defend Europe e poi gli audio della Guardia costiera di Tripoli e infine le dichiarazioni di Frontex si sente che fanno tutti lo stesso discorso: che siamo un pull factor e che siamo in combutta con i trafficanti. Sono accuse infondate che vanno avanti da mesi, quando invece si può dimostrare che non è stata la presenza in mare delle Ong a far aumentare gli sbarchi. Accuse che servono solo a far crescere l’intolleranza nei confronti di persone che non solo scappano dai rispettivi paesi di origine per motivi economici o perché perseguitati, ma fuggono dalla Libia. Quando li prendiamo a bordo ci raccontano che la Libia è un inferno e che preferirebbero morire in mare piuttosto che tornare indietro.
Proactiva ha deciso di firmare il Codice di comportamento del Viminale. Perché questa scelta?
Abbiamo deciso di firmare pur essendo critici su molti punti che giudichiamo ambigui perché vogliano considerare il Codice come una prova della volontà da parte del governo italiano di voler migliorare il coordinamento e il rapporto con le Ong. Nonostante questo adesso ci ritroviamo con una nave bloccata e l’altra che è stata attaccata con armi da fuoco dagli stessi libici pagati e riforniti di mezzi dall’Europa attraverso l’Italia.
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