Che festival è stato Venezia 72? Ha avuto una partenza faticosa – Everest non è stato la scelta migliore specie se paragonata ai due anni precedenti con Birdman e Gravity entrambi superoscarizzati, si ha l’impressione che sia stato un po’ un ripiego. Ma da allora sono passati 10 giorni che nella bolla del Lido sembrano mesi, e il festival tra le sue varie sezioni (Concorso, Orizzonti, Fuori concorso) ha regalato quella decina di titoli – più o meno – che rendono grande un evento come è la Mostra del cinema. Proviamo a tracciare una specie di atlante, parzialissimo naturalmente di questa Mostra (a causa di orari e sovrapposizioni alcune sezioni come la Sic e le Giornate degli autori sono rimaste un po’ escluse dalle nostre visioni).

Famiglia
E’ la metafora ricorrente per narrare la società, e le sue psicopatologie politiche. Un teorema che continua indisturbato a fondare la vita sociale, e nel quale religione, controllo, censure esistenziale trovano un alleato inossidabile.
E’ una famiglia perfetta quella de Il clan (Pablo Trapero) prototipo dell’Argentina della dittatura e subito post delle alleanze durature tra massacratori (lasciati a lungo agire indisturbati) e poteri politici e militari, e soprattutto specchio di una società che preferisce non vedere, non accorgersi delle sparizioni, delle torture, dei «garage Olimpo» a fronte del proprio benessere e della propria tranquillità. Proprio come in una famiglia. Appunto.
Il fantasma del rapporto padre/figlio determina le relazioni del venezuelano Desde Allá, tutto maschile, omoerotico, tra desiderio di uccidere il padre (nemmeno troppo metaforico) e sua ossessiva presenza nel machismo dominante di una società in crisi spaventosa di miseria e disperazione (si sta male a Caracas) , divari di classe, popolo in sofferenza. Di altro segno la «filiazione» che unisce Tsai Ming Liang a Lee Kang-sheng , l’attore icona del suo cinema con cui ha condiviso più di vent’anni di allenamento nell’immaginario. Afternoon è una conversazione commuovente tra il regista e il suo interprete, in cui il cinema diviene lo specchio della vita, e viceversa, e nei racconti più intimi prende forma il metodo impossibile da spiegare del loro lavoro comune. Imperdibile.                        

fOTO 1

Irruzione della realtà:
Accade in tutti i film visti, con più violenza quando è obliqua, non «rappresentata» secondo le regole di scrittura e di immagini ma colta nei suoi lati sfuggenti. Sono quei film che come diceva Fassbinder «liberano la testa» , sconvolgono lo sguardo, e per questo fanno arrabbiare o gelano come A Bigger Splash di Luca Guadagnino, Heart of a Dog di Laurie Anderson, e poi Bellocchio, Egoyan, Kaufman, il Rabin di Gitai, Per amor vostro di Giuseppe Gaudino, un’esperienza totale dei sensi e di noi.
Di altra cifra, ma di forte coraggio, Interrogation (Orizzionti) di Vetri Maaran, denuncia spietata (come un Rosi dei migliori) della corruzione poliziesca e del sistema indiano. Fuori classe In Jackson Heights di Wiseman, tra i film più belli visti. Il mondo in un quartiere per indagare su meccanismi e paradossi della democrazia.
Bambini
Il più disperato perché condannato a un futuro da «grande uomo» (Hitler?) è il piccolo e pallidissimo protagonista di The Chidhood of a Leader (di Brady Corbet, Orizzonti) madre bigotta che respinge l’insopportabile marito a colpi di mal di testa e umiliazioni feroci. Ma il ragazzino che si allena alla resistenza cattiva impara presto i trucchi e si libera delle maestre troppo carine, delle lacrime e delle preghiere. L’altro lato è che è sempre colpa delle madri, questa però è un’altra storia (o forse la stessa?)
Beasts of No Nation, infanzia sfruttata e trasformata in macchina per uccidere. Il ragazzino io narrante da fantasioso discolo diventa un omicida frenetico quasi come i Goodfellas scorsesiani. Il regista di True Detective Fukunaga lascia da parte ogni retorica scegliendo la cifra della crudezza da incubo. Voci del presente in Remember di Egoyan, non sanno nulla di nazisti e possono reggere ogni segreto. Ma anche riportare in sé il doppio pericoloso di carnefice/vittima.

Esotismi
Il più deprimente è stato l’esibizione dei protagonisti di Tanna il film vincitore della Settimana della critica coi loro costumi tribali. Tanto che il giorno dopo è capitato di leggere titoli dei giornali sul tono: «Anche nelle tribù si amano».

Sex symbol
Luis Silva, il protagonista di Desde Allá, bocca imbronciata, sguardo un po’ di traverso, la canottiera bianca intima sempre mezza fuori dai jeans. E’ nato un nuovo Marlon?

Geometrie sensuali
Sono quelle che disegna sul bordo della piscina Luca Guadagnino in A Bigger Splash (colpevolmente non ancora recensito). Un quartetto sentimentale a Pantelleria, l’isola di sapori piaceri e serentità nascosta su cui si curano le ferite una rockstar afona e il suo nuovo compagno sopravvissuto a un suicidio. Entrambi col desiderio di lasciarsi alle spalle tutto il passato. Ma uscire da sé stessi è sempre molto pericoloso, un rischio calcolato come un tuffo, una passeggiata tra gli scogli, l’irruenza di un vecchio amante che non vuole rinunciare, la seduzione di una ragazza postumana del millennio. La realtà sbuca all’improvviso nella tragedia che diventa farsa. Sono i migranti, rumore di fondo nelle tv accese dei telegiornali. Ma dare voce all’afono presente senza retorica è sempre qualcosa che irrita.

Arty e non solo
Il film cinese Behemoth, Dante e mitologie per dare immagine ai volti dei minatori cinesi, e alla natura divorata dalla speculazione accelerata del neoapitalismo. Vento, immagini di sabbia scura che entra nei polmoni, primi piani fissi dei minatori divorati dentro e fuori dalla polvere, un corpo nudo metafora degli inferi. Seducente, infatti è piaciuto a tutto, in quella linea molto arty che domina nelle tedenze del momento. La profondità e il conflitto sono lasciati fuoricampo, non siamo in un film di Wang Bing, l’importante è la bellezza della tragedia.