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Non solo Assange: la guerra giudiziaria americana contro i whistleblower

Non solo Assange: la guerra giudiziaria americana contro i whistleblower

Julian Assange Gli Usa lamentano un danno alla sicurezza nazionale e vogliono segnare un precedente, intervenendo dove e su chiunque disturbi le loro attività militari

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 25 maggio 2019

Le nuove accuse degli Usa, per le quali Assange rischia 175 anni di carcere, sono basate sull’Espionage Act, un legge della prima guerra mondiale, creata nel 1917, per perseguitare i traditori che rilasciano informazioni riservate. Rispolverata prima dall’amministrazione Bush e poi in crescendo da Obama e Trump, è la prima volta che viene usata per incriminare un giornalista, neanche americano.

La legge riguarda lo spionaggio e non riconosce il ruolo del giornalista nell’informare per l’interesse pubblico, oggetto del primo emendamento della costituzione Usa.

[do action=”citazione”] Gli Usa lamentano un danno alla sicurezza nazionale e vogliono segnare un precedente, intervenendo dove e su chiunque disturbi le loro attività militari, ma in questo caso il precedente sarebbe l’annullamento della libertà di stampa e l’impunità per i crimini di guerra.[/do]

L’ESPIONAGE ACT viene usato come test e potrebbe non sopravvivere lo scrutinio della corte suprema se usata contro un giornalista, ma questo in democrazia e non in una società militarizzata. Con la richiesta di estradizione, la war zone americana si è allargata fino all’Europa. La libertà d’informazione è una delle sue prime vittime e la guerra colpisce oggi i whistleblower. Assange non è il solo. Mentre viene trasportato di peso fuori dall’ambasciata dell’Ecuador, proprio in Ecuadro viene arrestato Ola Bini. È uno sviluppatore svedese di software libero e un attivista dei diritti civili.

Non è formalmente imputato ma il governo dichiara che è stato arrestato per sospetta partecipazione al crimine di assalto all’integrità di un sistema informatico. Viveva a Quito da sei anni.

OLA BINI è amico di Julian Assange. Il quotidiano svedese Aftonbladet pubblica una lettera aperta di Noam Chomsky, Yanis Varoufakis, Arundhati Roy e Brian Eno che chiede al governo svedese di intervenire per la sua liberazione. Il sito freeolabini.org ospita le firme di solidarietà e le sue lettere dal carcere. Il 10 maggio viene rilasciata Chelsea Manning, prima di essere nuovamente incarcerata il 15 maggio.

L’analista che ha denunciato nel 2010, usando WikiLeaks, i crimini di guerra americani in Afghanistan e che ha scontato sette anni di carcere militare durante i quali è stata torturata, come dichiara Amnesty International.

Aveva ricevuto clemenza dal presidente uscente Barack Obama ma era nuovamente in prigionia da due mesi in Virginia per il suo rifiuto a testimoniare davanti a un gran giurì proprio sul caso WikiLeaks.

La sua scarcerazione è dovuta allo scioglimento del gran giurì, ma uno nuovo si è già formato notificandole un secondo mandato di comparizione con scadenza il 16 maggio e rifiutando di testimoniare è tornata in carcere con l’aggiunta di una multa di 500 dollari per ogni giorno dopo i primi 30 giorni, che aumenterà a mille dopo due mesi. Chelsea afferma di non voler contribuire all’abuso che il processo e la segretezza del grand giurì rappresenta: «Ho la scelta tra tornare in prigione o tradire i miei principi. La seconda ipotesi rappresenta una prigione ben peggiore di quella che il governo mi può costruire». Assange è stato condannato a 50 settimane di carcere in Inghilterra per non essersi presentato alla polizia nel 2012 per rispondere alle richieste svedesi sulle accuse di stupro, rifugiandosi invece nell’ambasciata ecuadoriana.

IL 9 MAGGIO, ancora in Virginia, è stato arrestato sempre via Espionage Act, Daniel Hale, 31 anni ed ex analista dei servizi, per aver fornito informazioni classificate sull’uso dei droni da guerra ai giornalisti di The Intercept, sito di giornalismo investigativo cofondato da Glenn Greenwald, il giornalista che ha rivelato il programma di sorveglianza globale di Uk e Usa, tramite i documenti forniti da Snowden e con l’aiuto di WikiLeaks. Il 13 maggio è stata riaperta in Svezia l’inchiesta sull’accusa di violenza sessuale che grava su Assange del 2010.

Il magistrato ha dichiarato che la nuova circostanza, la detenzione inglese, ora permette di chiedere l’estradizione in Svezia e l’interrogatorio è richiesto per completare l’inchiesta che era stata chiusa nel 2017. Se Assange darà il consenso, dichiarano le autorità svedesi, potrebbe avvenire nella prigione inglese.
WikiLeaks dichiara che sarà l’occasione per Assange di pulire il suo nome. Sarà un giudice inglese a decidere a quale richiesta di estradizione dare precedenza, Svezia o Usa, nell’irrisolto contesto della Brexit.

Gli Usa stanno dando un chiaro monito a whisteblower e giornalisti. La guerra in corso li spinge alla criminalizzazione degli strumenti crittografici e alla censura, ma chiedere l’estradizione di un giornalista straniero in relazione alla divulgazione tramite WikiLeaks di oltre 1 milione di informazioni militari e documenti diplomatici è essenzialmente una richiesta per giornalismo scomodo che segna un precedente pericoloso. Julian Assange viene difeso da Baltasar Garzòn, il giudice spagnolo scelto da WikiLeaks, ricordato per aver tentato di arrestare Pinochet e di interrogare Kissinger sul caso Condor.

Le attuali accuse da parte Usa non riguardano il caso delle email dell’allora segretario di Stato Hillary Clinton, trafugate dai servizi russi e divulgate tramite WikiLeaks che hanno avvantaggiato Trump, ma sono confinate alla divulgazione dei crimini di guerra segnalati da Chelsea Manning nel 2010. Il caso Assange riguarda la libertà di stampa e diritti umani. L’amministrazione Trump, pur correndo il rischio di riportare l’attenzione sulle scorse elezioni presidenziali, sta colpendo entrambi i diritti.

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