Gli hedge fund scommettono sul fallimento dell’Italia. È quanto riporta il Financial Times, sulla base di alcuni dati raccolti dalla società di servizi finanziari americana S&P Global Market Intelligence. La notizia arriva dopo che Mario Draghi, al meeting di Comunione e Liberazione, aveva detto che «l’Italia ce la farà anche questa volta, qualunque partito vinca le elezioni». Una sconfessione, apparentemente. A meno che il premier dimissionario non alludesse, per il futuro prossimo, ad una qualche forma di «commissariamento» per l’Italia, dopo aver ricordato che il 25% del nostro debito è in mano ad investitori esteri.
IL POSIZIONAMENTO è poderoso. «La più grande scommessa contro il debito italiano dal 2008», scrive il noto quotidiano economico britannico. Sono stati prese in prestito obbligazioni italiane per 39 miliardi di euro, scommettendo sul crollo del loro prezzo. Si chiamano «vendite allo scoperto» (short selling), effettuate attraverso il veicolo di contratti derivati (futures). Non è necessario possedere il bene da vendere, basta farselo prestare. Funziona più o meno così: il fondo speculativo prende in prestito le obbligazioni da un intermediario finanziario, per venderle al prezzo di oggi e ricomprarle (per poi restituirle) al prezzo di domani.
LA SCOMMESSA, come si legge sul sito di Borsa italiana, è «che il prezzo al quale gli strumenti finanziari si riacquisteranno sarà inferiore al prezzo inizialmente incassato attraverso la vendita». Trattandosi nello specifico di titoli di stato, l’aspettativa è che un deterioramento dei fondamentali macroeconomici del Paese porterà ad un declassamento del suo debito, quindi ad una sua svalutazione. Ciò che risulta aberrante è che la speculazione possa mettere con le spalle al muro un Paese sovrano. Minacciarne la sicurezza economica e sociale e perfino la sua democrazia, in un mondo rovesciato.
MA PERCHÉ proprio il nostro Paese? «L’Italia è il Paese più esposto in termini di ciò che accade ai prezzi del gas, la politica è una sfida», ha affermato Mark Dowding, chief investment officer di BlueBay Asset Management, il fondo inglese con un portafoglio di assets stimato in 106 miliardi di dollari, che partecipa all’assalto. Non solo. Se la Russia azzerasse le forniture di gas, l’Italia sarebbe letteralmente spacciata. E l’alternativa, in questo momento, non sarebbero né il gas liquido americano, né quello aggiuntivo proveniente dall’Algeria e dall’Angola. La dipendenza da Gazprom è troppo marcata, condividiamo con la Germania il rischio di un naufragio economico per effetto della stretta energetica. È la stessa valutazione che a luglio aveva fatto il Fondo Monetario Internazionale: senza gas russo l’Italia rischia di perdere per strada cinque punti di pil.
NON SOLO GAS, comunque. Con il suo enorme debito pubblico, l’Italia, rispetto ad altri Paesi dell’eurozona, è considerata più esposta alle conseguenze delle politiche restrittive della Bce. Il quantitative easing è stato una droga per il mercato dei titoli in questi anni. Ha tenuto a bada la speculazione, mantenendo basso il costo del finanziamento degli Stati sui mercati. Con lessico politico, si potrebbe dire che è stato uno strumento «democratico», utile soprattutto ai Paesi più indebitati. Ora però gli acquisti netti sono terminati ed eventuali interventi anti-spread di Francoforte, ancorché selettivi e su richiesta dei singoli Stati, prevedono severe condizionalità. Sarà anche per questo che, per adesso, la speculazione sembra non curarsene.
POI C’È LA POLITICA. Nell’articolo di Laurence Fletcher e Nikou Asgari, si accenna anche al profilo della candidata a Palazzo Chigi Giorgia Meloni e all’euroscetticismo che attraversa la coalizione di destra. Soprattutto, si pone l’accento su un’eventuale rimodulazione delle «riforme» del Pnrr da parte di un esecutivo a guida Meloni. Al rischio di un irrigidimento di Bruxelles verso il Paese e della perdita degli stessi fondi. Un film già visto. Tornando alla speculazione: è la realtà ad influenzare le scelte degli investitori o il contrario? A ben vedere, entrambe le cose. Ma è come dire che le nostre vite, per una parte, sono appese alle aspettative di guadagno di chi specula sui mercati finanziari.