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Asini in catene nella Valle del Giordano

Asini in catene nella Valle del Giordano – REUTERS/Ammar Awad

Cisgiordania occupata Israele mette in vendita 40 asini confiscati ai palestinesi. La misura, spiega, serve a limitare gli incidenti stradali. Ma per i proprietari il provvedimento è parte della strategia per limitare le risorse dei palestinesi a favore delle colonie

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 6 agosto 2016
Michele GiorgioGERUSALEMME

«Quaranta asini in vendita». Quando i proprietari palestinesi hanno visto sui giornali locali l’annuncio che l’esercito israeliano aveva messo in vendita i loro docili animali da trasporto, sono rimasti senza parole. Erano convinti di poterli riavere nel giro di qualche giorno. Invece i comandi militari israeliani hanno deciso di usare il pugno di ferro contro gli asini, accusati di essere la causa di numerosi incidenti stradali nella zona di Gerico, sulla statale che corre lungo la Valle del Giordano, da e per il Lago di Tiberiade. Ma anche su altre strade usate dai coloni ebrei per raggiungere i loro insediamenti. Gli animali, lasciati incustoditi, invaderebbero la carreggiata mettendo a rischio chi è alla guida.

«I nostri asini saranno messi all’asta, è profondamente ingiusto» si lamenta Arif Daraghmeh, capo del Consiglio che riunisce 26 frazioni del distretto di al Maleh. «Non è la prima volta che ci sequestrano gli animali – spiega – ma ora vogliono venderli e farci pagare una multa di 2000 shekel (circa 500 euro) per ognuno di essi. Dicono che quei soldi servono a coprire le spese per la cattura e il mantenimento degli asini». Non sente ragioni il Cogat, l’organismo di coordinamento delle attività di Israele nei Territori occupati. Fa sapere che gli asinelli, ancora tanti usati da agricoltori e pastori palestinesi, «si sono rivelati un grave pericolo» per la sicurezza degli automobilisti israeliani (coloni e turisti). Secondo il Cogat gli incidenti stradali sarebbero diminuiti del 90% da quando sono stati compiuti i sequestri. «Non siamo a conoscenza di così tanti incidenti stradali», ribatte da parte sua Daraghmeh, «piuttosto sospettiamo che i sequestri dei nostri asini non siano altro che lo sviluppo della politica israeliana di renderci la vita impossibile, di toglierci le nostre fonti di reddito e costringerci ad andare via, ad abbandonare le nostre terre». Con lui concordano un po’ tutti i palestinesi.

Che la vendita all’asta dei miti animali, che da migliaia di anni accompagnano il lavoro dell’uomo, sia parte di una strategia più ampia di Israele di “transfer” silenzioso della popolazione palestinese, non è facile da provare. Allo stesso tempo da alcuni anni a questa parte la Valle del Giordano – un terzo della Cisgiordania occupata – è al centro di una intensa politica israeliana di confische di terre, di demolizioni di case e strutture palestinesi, definite “illegali”, e di espansione delle colonie ebraiche. Le distruzioni di case palestinesi si sono intensificate negli ultimi tempi a Fasayil e in altri piccoli 28 villaggi palestinesi. Questa fascia di terra fertile e desertica allo stesso tempo, attraversata dal Giordano – un ruscello per gran parte dell’anno eppure è uno dei fiumi più famosi al mondo – permette il controllo del confine con la Giordania e l’accesso a risorse d’acqua vitali per irrigare i terreni agricoli. Acqua che finisce in buona parte alle colonie. Un palestinese che vive nella Valle del Giordano ha disponibili appena 20 litri di acqua al giorno, un quinto della quota stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Israele non ha mai nascosto di voler mantenere il controllo della Valle del Giordano in qualsiasi compromesso territoriale con i palestinesi. Anche per questo motivo è fallito, due anni fa, il tentativo del Segretario di stato americano John Kerry di portare israeliani e palestinesi ad un accordo.

Dopo il 1967 l’Esercito israeliano ha trasformato il 18 per cento della Cisgiordania in aree di addestramento militare in cui vivono attualmente anche 6.200 palestinesi, molti dei quali proprio della Valle del Giordano che rientra (ad eccezione del distretto di Gerico) nella “Area C” della Cisgiordania, il 60% del territorio palestinese sotto il controllo pieno di Israele. Circa 176.500 ettari sono interdetti ai palestinesi, perché “zone militari”. L’allargamento di queste aree nella Valle del Giordano e la confisca di terre palestinesi permette la crescita delle colonie ebraiche dove attualmente abitano meno di 10mila israeliani, un numero che nei piani della destra al potere dovrà lievitare nei prossimi anni. Di pari passo crescono le demolizioni di case (centinaia negli ultimi anni, secondo i dati dell’Onu), le restrizioni alle attività agricole e ai trasferimenti di residenza nella Valle per i palestinesi che vivono in altre località della Cisgiordania.

«La trasformazione di aree delle Cisgiordania in terre demaniali è una strategia applicata da anni ed è volta a favorire l’espansione delle colonie», spiega Drod Ektes, un ricercatore israeliano che da anni osserva gli sviluppi della colonizzazione, in riferimento alla legge del periodo ottomano per la confisca delle terre non coltivate che Israele applica, a sua discrezione, nei Territori palestinesi occupati. «Con le recenti confische di terre palestinesi avvenute a ridosso di Gerico – aggiunge Ektes – il premier Netanyahu ha mandato un ulteriore messaggio rassicurante ai coloni sulla politica del suo governo e un altro alla comunità internazionale per chiarire una volta di più le intenzioni di Israele nella Valle del Giordano».

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