Arresti e proiettili sull’Hdp in marcia per un’altra Turchia
Repressione Da Edirne e Hakkari cortei verso Ankara. Il governo vieta le manifestazioni citando il Covid-19. La protesta contro le rimozioni dei sindaci del partito e la detenzione di altri tre deputati
Repressione Da Edirne e Hakkari cortei verso Ankara. Il governo vieta le manifestazioni citando il Covid-19. La protesta contro le rimozioni dei sindaci del partito e la detenzione di altri tre deputati
Dal nord e dal sud della Turchia verso la capitale, Ankara: è il percorso della Marcia per la democrazia iniziata ieri, organizzata dal Partito democratico dei Popoli (Hdp), la fazione di sinistra pro-curda che subisce più di ogni altra la repressione politica interna.
CINQUE GIORNI di marcia in due tronconi, uno che ha preso le mosse da Edirne, sede della prigione di massima sicurezza dove dal 4 novembre 2016 è detenuto l’ex co-presidente dell’Hdp Selahattin Demirtas, e uno da Hakkari, nel sud est a maggioranza curda. Tutti verso Ankara, la capitale amministrativa simbolo del sistema di potere dell’Akp di Erdogan (seppure il comune sia stato perso, a favore dell’opposizione repubblicana del Chp lo scorso anno).
I motivi per marciare sono innumerevoli, a partire da quello che l’Hdp definisce un golpe, o meglio tanti piccoli golpe, contro le amministrazioni locali: 23 sindaci e sindache Hdp agli arresti con l’accusa di appartenenza a gruppo terrorista (il Pkk) o propaganda terroristica, 45 comuni su 65 vinti nel marzo 2019 e 95 su 102 vinti alle elezioni del 2014 commissariati dal ministero degli Interni.
Senza contare la decina di parlamentari – tra cui Demirtas e l’allora collega co-presidente Figen Yüksekdag, su cui pesano decine di processi e centinaia di anni di carcere – arrestati dopo la legge con cui il presidente Erdogan ha potuto cancellare l’immunità parlamentare. È ancora ampiamente usata: il 4 giugno scorso sono stati arrestati il deputato Chp Enis Berberoglu e a quelli Hdp, Musa Farisogulları e Leyla Güven, protagonista tra il 2018 e il 2019 di 80 giorni di sciopero della fame contro l’isolamento del leader del Pkk, Abdullah Ocalan. Dopo il rilascio di Güven e Berberoglu su cauzione, incarcere resta Farisogullari.
IL GOVERNO CENTRALE, formato dalla coalizione Akp e Mhp (partito nazionalista), non l’ha certo presa bene. Prima ha vietato assembramenti citando l’epidemia di Covid-19 e il pericolo per l’ordine pubblico (a Istanbul manifestazioni vietate per due settimane); poi, attraverso i governatori delle otto province attraversate dalla marcia (Edirne, Tekirdag, Kocaeli, Van, Kırklareli, Hakkari, Bitlis e Sırnak), ha chiuso i confini amministrativi vietando il transito.
INFINE, HA INVIATO la polizia. Già da domenica è aumentata la presenza di agenti anti-sommossa, cellulari e cannoni ad acqua nei pressi degli uffici locali del partito. Ieri la repressione. I primi dieci arresti di manifestanti (tra cui dei parlamentari) si sono registrati a Silivri, Istanbul, dove si trova uno dei carceri più famosi dell’intero paese. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni e proiettili di gomma e affrontato la marcia con i blindati. Altri nove gli arresti a Edirne, di cui tre rilasciati.
Su Twitter i manifestanti hanno pubblicato le foto e i video delle violenze della polizia, mentre la co-leader Hdp, Pervin Buldan, in una nota ha comunicato l’intenzione di proseguire: «Vietando ingressi e uscite da decine di città, avete adottato misure anti-democratiche e anti-costituzionali, ma non impedirete all’Hdp di incontrare il suo popolo. Questa marcia continuerà fin quando questo paese non avrà pace, libertà e democrazia». Ai migliaia di partecipanti nelle varie città i membri dell’Hdp hanno parlato dei giornalisti imprigionati, delle minoranze vessate, della magistratura usata come strumento politico.
INTANTO LA POLIZIA innalzava barricate, circondava i tronconi della marcia e posizionava cecchini sui tetti. Provocando la critica del Chp, protagonista di un’altra marcia nel luglio 2017: il deputato Ozgur Ozel ha accusato il governo di aver creato uno stato di polizia.
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