La notizia ieri è rimbalzata subito in tutto il mondo: Jafar Panahi è stato arrestato a Tehran a soli due giorni di distanza dall’arresto di Mohammad Rasoulof e di Mostafa Al-Ahmad – a favore dei quali Panahi aveva espresso il suo sostegno sui social. In un suo post del 10 luglio si legge: «All’alba dell’8 luglio Rasoulof e Al-ahmad, critici schietti e cineasti impegnati, sono stati aggrediti nelle loro abitazioni e portati via in un luogo sconosciuto. Condanniamo la pressione che i filmmaker indipendenti e i pensatori liberi stanno subendo. Condanniamo anche la sistematica violazione da parte delle istituzioni dei diritti sociali e dell’individuo. Chiediamo l’immediato rilascio dei nostri colleghi».

NON È LA PRIMA volta che il regista, uno dei più importanti nomi nel cinema iraniano e tra i più riconosciuti a livello internazionale sin dagli esordi con Il palloncino bianco (1995) che vinse la Caméra d’or al festival di Cannes – il successivo Lo specchio (1997) ha conquistato il Pardo d’oro al festival di Locarno mentre Il cerchio (2000) ha avuto il Leone d’oro a Venezia – viene arrestato nel corso della sua carriera: nel 2010 è stato condannato a sei anni di reclusione, tramutati poi in arresti ai domiciliari, e gli è stato vietato di lasciare il Paese, di rilasciare interviste e di girare film fino al 2030, anche se ha continuato a farne e con grande potenza – pensiamo a Closed Curtains (2013) premio della sceneggiatura alla Berlinale, e a Taxi Tehran (2015) Orso d’oro, girato in clandestinità, la cui protagonista, l’avvocata per i diritti civili Nasrine Saotoudeh è stata arrestata nel 2018 e detenuta in condizioni orribili con un deterioramento grave della sua salute ulteriormente peggiorata dopo avere contratto il Covid.
La persecuzione del regime nei confronti del regista, figura sempre «scomoda» i cui film venivano regolarmente censurati, inizia insieme a quella contro Rasoulof: i due cineasti vengono messi in prigione mentre stanno preparando un film sull’Onda verde, il movimento che era esploso in Iran contro la presidenza di Ahmadinejad per chiedere una maggiore democrazia e dei cambiamenti sociali, economici, il rispetto dei diritti civili che Panahi aveva sempre pubblicamente sostenuto. Contro entrambi l’accusa è di «propaganda contro il governo» e di «attentare alla sicurezza pubblica».

DA ALLORA come accade in Iran le loro vite sono rimaste sospese a un arresto che poteva accadere di nuovo da un momento all’altro, una forma di tortura psicologica messa in atto con ricatti e minacce di ogni genere. Rasoulof era stato nuovamente fermato e privato dei documenti mentre tornava dal festival di Telluride nel 2017 dove aveva presentato A Man of Integrity, e nel 2019 aveva fatto appello all’imputazione di «propaganda contro il regime». Entrambi potevano scegliere la via della fuga e dell’esilio ma hanno deciso di restare in Iran continuando a esprimere il loro pensiero attraverso le loro opere.
Rasoulof e Mostafa al-Ahmad avevano lanciato qualche giorno fa un appello alla polizia iraniana firmato da una settantina di artisti in cui chiedevano di non usare le armi contro i manifestanti con riferimento alle violenze messe in atto dalle forze speciali iraniane nella città di Abadan durante le manifestazioni seguite al crollo di un edificio nel quale sono morte oltre quaranta persone – la cittadinanza accusava il governo di negligenza e di corruzione.

IERI si sono moltiplicate le richieste di una immediata scarcerazione dei registi, tra cui i comunicati del festival di Cannes che ha voluto ribadire il suo sostegno a tutti «quegli artisti nel mondo vittime di violenze e di rappresaglie» e della Berlinale che nell’arresto di Panahi, Rasoulof e Al-Ahmad denuncia l’ennesimo attacco «alla libertà di espressione e dell’arte». L’incarcerazione senza alcun accusa di Panahi è solo l’ennesimo atto di una repressione che si fa in Iran sempre più dura, quasi che il regime cerchi di camuffare la forte crisi economica e la protesta sociale che ne deriva con questi arresti eclatanti, rivolti contro un ambito, quello della c ultura, che viene valutato come potenzialmente pericoloso. Nei mesi scorsi erano state arrestate le registe Firouzeh Khosrovani (Radiography of a family) e Mina Keshavarz (The art of living in danger) -liberate poi il 18 maggio su cauzione – entrambe autrici riconosciute a livello internazionale, senza dare alcuna motivazione.