Quando a Jenin e nel resto della Cisgiordania si è sparsa la notizia che Bassam Al Saadi, capo militare del Jihad islami, era stato ferito durante l’arresto dai morsi di un cane dell’esercito israeliano, il governo Lapid e i comandi militari hanno ordinato la chiusura dei valichi con Gaza e bloccato le strade intorno alla Striscia. La reazione, con lanci di razzi, da parte del Jihad appariva scontata. L’esercito ha diffuso foto di Al Saadi in buone condizioni dopo l’arresto per calmare la situazione dopo l’annuncio fatto dal Jihad dello stato di massima allerta della sua ala militare.

La risposta da Gaza, almeno fino a ieri sera, non c’è stata. Mediatori egiziani sono stati impegnati tutto il giorno a persuadere l’organizzazione islamista a non andare all’escalation con Israele. Sono girate anche voci di una contrarietà di Hamas, il più importante dei movimenti islamici, a un nuovo conflitto armato con Israele che la Striscia non potrebbe sopportare. «Ma la reazione del Jihad ci sarà, anche se nessun può dire dove e quando. La ritorsione contro Israele è solo questione di tempo e dell’opportunità giusta», ci diceva ieri un giornalista di Gaza sottolineando l’importanza che Bassam Al Saadi, 61 anni, ha per il Jihad in Cisgiordania dove assieme al genero e braccio destro, Ashraf al Jada, aveva ricostituito le unità della Brigata al Quds dopo le retate dell’esercito israeliano in Cisgiordania avvenute in questi ultimi anni.

Più di tutto Al Saadi, arrestato più volte in passato, è una figura carismatica per tanti palestinesi della zona di Jenin. È considerato un simbolo della resistenza all’occupazione militare che negli ultimi anni ha contribuito a rendere Jenin la roccaforte della lotta armata contro Israele e anche una spina nel fianco dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Appena due giorni fa, in una intervista al sito Palestine Online, Al Saadi aveva criticato il coordinamento tra le forze di sicurezza dell’Anp e di Israele. «Il popolo palestinese si sente umiliato (dal coordinamento della sicurezza)» ha detto, avvertendo poi che «I motivi per lo scoppio di una nuova Intifada sono maturi ma c’è bisogno di una leadership unita che rappresenti tutto il nostro popolo».

La resistenza palestinese, e non solo quella armata, per Israele è «terrorismo» e non lotta all’occupazione militare. E le incursioni dell’esercito a Jenin si sono intensificate dopo gli attacchi armati della scorsa primavera – in cui sono rimasti uccisi 19 israeliani – compiuti in maggioranza da palestinesi giunti dalla città cisgiordana e dai villaggi vicini. Oltre trenta sono invece sono i palestinesi uccisi dall’esercito nello stesso periodo. L’ultimo, Dirar Kafrini, un 17enne, durante gli scontri seguiti all’arresto di Bassam Al Saadi. Scontri sono avvenuti anche nel campo profughi di Faraa dove il fuoco israeliano ha ferito cinque dimostranti – alcuni erano armati secondo il portavoce militare – durante l’arresto di due palestinesi.

Intanto a Gerusalemme proseguono le polemiche per la visita che tre giocatori musulmani del Paris Saint-Germain (PSG) alla Moschea di Al-Aqsa dopo la vittoria nella Supercoppa di Francia contro il Nantes avvenuta nel fine settimana nello stadio di Tel Aviv. Idrissa Gana Gueye, Presnel Kimpembe e Abdou Diallo hanno postato le loro foto davanti alla Cupola della Roccia. Per molti palestinesi i tre hanno preso parte a una iniziativa di «normalizzazione» dell’occupazione israeliana. Sono scontenti anche sull’altro fronte. «Vai in una sinagoga», ha commentato un israeliano a una foto pubblicata da Kimpembe su Instagram.