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«Arrestata per aver curato le ferite della rivolta iraniana»

«Arrestata per aver curato le ferite della rivolta iraniana»La mobilitazione degli studenti a Teheran nei giorni dello sciopero

Iran Intervista alla dottoressa e attivista Ghazal, ora libera su cauzione: «Lo stato, con la fobia della sicurezza, ha soffocato qualsiasi voce critica e ora non sa con chi negoziare. Mojaheddin, monarchici, personaggi vicini a governi stranieri, come Alinejad ed Esmaeilion, non sono rappresentati nel paese: non possono prescrivere ricette»

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 8 dicembre 2022

Dottoressa Ghazal, oltre a essere medica, lei è anche un’attivista da molti anni, si è battuta per i diritti delle donne e ha aiutato molte persone, specialmente i rifugiati afghani illegali in Iran che non hanno accesso alla sanità pubblica. Recentemente è stata detenuta per qualche giorno ed è stata rilasciata dietro cauzione. Ci può dire perché è stata fermata?

Sono stata chiamata da una famiglia per visitare di urgenza la figlia. La ragazza di 15 anni era stata colpita da decine di pallini nella schiena durante le manifestazioni. La famiglia non voleva portarla in ospedale, temeva che la ragazza potesse essere fermata o arrestata in seguito alle cure. Ho trasferito la ragazza nel mio studio privato e ho curato le ferite. Ho giudicato che portare la ragazza all’ospedale avrebbe causato uno stato psichico sfavorevole a lei e alla sua famiglia. Il mio dovere è curare i pazienti nel miglior modo possibile. Per questo sono stata fermata dalle autorità e sono stata interrogata. Chiedevano un elenco di pazienti che a loro parere io avevo curato illegalmente. Non è stato facile. Ma sono prossima alla pensione e con la mediazione di alcuni noti colleghi sono stata rilasciata in attesa della formulazione dell’accusa.

Come giudica la reazione del governo per sedare i manifestanti?

Centinaia di vittime giovani e giovanissime e migliaia di feriti di per sé sono una risposta eloquente. Lo stato soffre di miopia politica, ricorre alla repressione per soffocare le rivendicazioni di una generazione che in futuro deve guidare il paese. Perciò è una soluzione assolutamente sbagliata e immorale. Lo stato non vuole accettare che è arrivato il momento di dare corso a profondi cambiamenti strutturali se non vuole essere spazzato via.

Sembra che l’establishment, almeno in parte, si sia accorto che occorre dare una risposta politica alle proteste.

Siamo testimoni di dichiarazioni contrastanti da parte delle autorità. Uno dà la notizia dell’abolizione del velo obbligatorio e un altro afferma che le donne senza velo saranno multate e private dei diritti civili. Un giorno dicono che i giovani arrestati saranno liberati e il giorno dopo minacciano di eseguire la pena capitale. Fanno parlare 100 persone di rango inferiore per non prendersi responsabilità, per poter in qualsiasi momento negare ciò che è stato affermato.

I fallimenti succedutisi negli anni per modificare il carattere autoritario dello stato hanno rotto, a mio parere definitivamente, la fiducia tra popolo e governanti. In uno stato piramidale come il nostro le decisioni vengono prese dall’alto. Le risposte politiche proposte finora sono frutto dello sforzo di politici senza un vero potere esecutivo e che comunque trovano un muro di sfiducia nel popolo. Basta vedere l’intervento del sindaco di Teheran all’università di Sharif per rendersi conto del livello di fiducia che i giovani riservano alle autorità. Oggi nessuno nell’establishment, conservatore o riformista che sia, può negoziare a nome dei manifestanti. Lo stato, con la fobia della sicurezza, ha soffocato qualsiasi voce critica. Ora per evitare tre giorni di sciopero indetti dagli attivisti non sa con chi negoziare.

Qual è la chiave di volta?

Sicuramente l’unione tra la popolazione e l’aumento della pressione sono essenziali. Questo è possibile. Oggi anche tra il clero giovane si trovano persone che ritengono legittime le rivendicazioni popolari, che pensano che la religione non possa essere imposta con la forza. Ci sono settori dell’economia privata che sono stanchi del monopolio statale e così pure tanti altri settori. Quando questi entrano nell’arena allora sì che possiamo sperare in un cambiamento sostanziale in direzione della democratizzazione del paese.

Come giudica i gruppi di opposizione all’estero?

Non possiamo giudicare i gruppi di opposizione solo attraverso la loro attività propagandistica, ma vedere qual è la loro influenza all’interno del paese. Oggi si parla di vari gruppi di opposizione all’estero. Mojaheddin-e Khalq (Mek) è il gruppo di opposizione più noto con meno influenza interna. Le loro azioni, l’ideologia e il codice di comportamento hanno creato un rifiuto tra la popolazione in particolare tra i giovani. Il recente bollettino riservato dell’agenzia Fars hackerata da Black Reward, ammessa e non concessa la sua autenticità, e che il 2% degli oltre 16mila arrestati in questi tre mesi ha una relativa connessione con Mek. Ma è evidente che hanno gruppi addestrati nel paese che possono dirottare il carattere pacifico delle manifestazioni. Credono nella lotta armata che l’assoluta maggioranza degli iraniani vuole evitare.

Reza Pahlavi, figlio dello scià deposto, pur avendo una certa influenza tra i nostalgici nel paese ha un potere marginale. Poi ci sono i nuovi personaggi di cui si parla molto: Karmi, Alinejad, Esmaeilion, sostenuti da varie cancellerie che a mio parere non hanno uno spessore politico sufficiente per poter rappresentare il movimento attuale, pur avendo una risonanza mediatica enorme. Sono convinta che qualsiasi mutamento dovrebbe derivare da un processo politico interno, perciò credo che gli iraniani all’estero devono sostenere le rivendicazioni della popolazione senza prescrivere ricette.

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