Il decreto numero 5 sulla fornitura di armi all’Ucraina, quello che prolunga per tutto il 2023 la facoltà per il governo di spedire armi di fatto senza controlli e mantenendo il segreto sulle spedizioni, è stato approvato ieri dal Senato. Il 23 gennaio sarà il turno della Camera. I sì sono stati 125 ma stavolta ci sono stati anche 28 no, quelli del M5S e di Avs più i 2 senatori Pd Andrea Giorgis e Valeria Valente che però hanno votato contro per errore, e 2 astensioni sempre dalle file del Pd, le senatrici Susanna Camusso e Vincenza Rando. Anche se sia i 5 Stelle che il gruppo Verdi-Si si erano già pronunciati contro la prosecuzione dell’invio delle armi lo scorso dicembre, è la prima volta che l’opposizione sempre meno latente dei pentastellati si traduce in un secco voto contrario. «Siamo a fianco del popolo ucraino ma è lecito domandarsi se la pace si costruisce sui campi di battaglia. Non voteremo più invii di armi», ha spiegato per il M5S Ettore Licheri. «Dopo un anno siamo al punto di partenza. È evidente che non ci sono possibilità di risolvere il conflitto per via militare. Bisogna arrivare alla tregua e a un compromesso», ha rincarato per Avs Peppe De Cristofaro.

NESSUN DISTINGUO invece nella maggioranza: «Siamo granitici» esultano i senatori di FdI. Di dubbi e disagi in realtà negli ultimi giorni ce ne sono stati parecchi sia tra i forzisti che tra i leghisti, in particolare sull’invio delle batterie antimissile, lo scudo Samp-T. Ma nessuno se la è sentita di uscire allo scoperto ingaggiando una battaglia destinata a sicura sconfitta. Sul sostegno strenuo all’Ucraina la premier Meloni è irremovibile, certamente per convinzione ma anche perché è quella la carta che può giocare nelle trattative con l’Europa. La presidente Ursula von der Leyen, che ieri ha annunciato per febbraio una riunione congiunta degli esecutivi Ue e Ucraina a Kiev, era stata poche ore prima tassativa: «L’Ucraina deve ricevere tutti gli equipaggiamenti militari necessari per difendere la propria terra».

IERI IL SEGRETARIO generale della Nato Stoltenberg ha alzato ulteriormente la posta: «Siamo in un momento chiave ed è fondamentale intensificare il sostegno militare all’Ucraina». Significa che l’esercito di Kiev deve essere equipaggiato anche con carri armati di fabbricazione occidentale, sin qui sempre negati. La Polonia ha già deciso l’invio. L’Uk sta «considerando l’ipotesi» ma dietro la formula diplomatica si cela una scelta già fatta e le pressioni sulla Germania perché spedisca i carri Leopard si moltiplicano.

Per l’Italia il salto di qualità, che richiederà un nuovo decreto a breve, passa per la fornitura dello scudo. Ieri due vertici hanno affrontato il tema degli aiuti al Paese invaso. Il primo, nella mattinata, si è occupata della strumentazione necessaria per riattivare la rete elettrica messa alle corde dagli attacchi russi. Il secondo, presenti la premier, i vicepremier Salvini e Tajani e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, era convocato nel pomeriggio sull’immigrazione ma si è invece parlato soprattutto del Samp-T. L’Italia ha in arsenale 5 batterie antimissile, una delle quali dovrebbe arrivare a Kiev garantendo la protezione dai missili, anche se non dai droni, di buona parte della città. L’obiezione per cui così si sguarnirebbe la difesa italiana non è reputata rilevante. Non perché non sia vera ma perché l’ipotesi di un attacco è considerata fuori dalla realtà. Neppure sussistono reali problemi di dissenso esplicito nella maggioranza. L’ostacolo è tecnico. La batteria richiede componenti italiane e francesi. Per motivi «di ordine tecnologico» non ancora ben chiari, però, Italia e Francia non riescono a mettersi d’accordo. «Stiamo discutendo con i francesi», conferma il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ma se la discussione non porterà alcun esito sarà necessario costruire in Italia le componenti oggi in dotazione solo alla Francia.

PER LA PROSSIMA fase della guerra, in primavera, Nato, Ucraina e Ue hanno deciso di scommettere sull’escalation. L’Italia si adegua.