Non era mai successo che, a soli 45 giorni dall’insediamento, un presidente si trovasse già alle prese con uno sciopero generale: un record, quello di Javier Milei, che difficilmente qualcuno riuscirà a togliergli. Il merito è tutto del programma di aggiustamento portato avanti dal presidente con una brutalità di cui nessuno era stato finora capace, al punto da spingere la Cgt – quella Confederación general del trabajo rimasta inerte per quattro anni di fronte all’impoverimento crescente dalla popolazione argentina – a convocare per la giornata di ieri un paro general di 12 ore, portandosi dietro le due Cta (la Central de Trabajadores de Argentina divisa in due diverse organizzazioni), movimenti sociali, settori politici della sinistra e del peronismo.

Una grande dimostrazione di forza che ha avuto inizio a mezzogiorno con una imponente marcia verso Plaza del Congreso, dove il leader della Cgt Pablo Moyano ha denunciato la cessione «agli amici» delle imprese statali e sfidato il governo ad aumentare la tassa sulle grandi fortune anziché ripristinare l’imposta sul reddito dei lavoratori. Con un appello finale ai parlamentari alla vigilia del dibattito sulla legge omnibus che avrà luogo oggi e domani: «Siete attesi da una decisione storica, con cui direte se state dalla parte della classe lavoratrice o delle grandi imprese».

Nulla di tutto ciò ha però toccato il presidente, il quale, reduce dall’imbarazzante spettacolo offerto a Davos – dove ha annunciato al gotha del capitalismo globale che l’Occidente è in pericolo per colpa del socialismo – si è limitato a dire che lo sciopero riflette lo scontro tra «un’Argentina ancorata al passato» e «un’altra lanciata verso lo sviluppo».

C’è andata giù pesante, invece, la ministra della sicurezza Patricia Bullrich, secondo cui lo sciopero è stato promosso da «sindacalisti mafiosi, amministratori della povertà, giudici complici e politici corrotti, tutti a difendere i propri privilegi contro il cambiamento deciso democraticamente dalla società». «Non c’è sciopero che ci fermi, non c’è minaccia che ci intimorisca», ha aggiunto la ministra, che di minacce (ai manifestanti) ne ha rivolte a badilate attraverso il suo sempre più repressivo «protocollo anti-picchetto», adeguatamente affiancata dal portavoce della presidenza Manuel Adorni, con il suo annuncio di una trattenuta sullo stipendio dei manifestanti corrispondente alla retribuzione giornaliera.

E non è stata da meno la ministra degli esteri Diana Mondino, per la quale lo sciopero è stato «convocato dall’oligarchia di milionari con auto blindate e autisti». Un discorso, quello contro la “casta”, ormai irrimediabilmente spuntato, di fronte all’evidenza che le misure emanate da Milei vadano tutte a beneficiare i potenti di sempre.