Ci sono grandi multinazionali che realizzano profitti sulla pelle di chi è privato della libertà. È quanto avviene con la detenzione amministrativa dei migranti. Un unicum nell’arcipelago delle forme di reclusione italiane. Perché le persone trattenute non hanno commesso reati e perché i centri di trattenimento sono appaltati ai privati. È su questo secondo aspetto che si concentra il rapporto presentato ieri dalla Coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild) L’affare Cpr. Da quelle 190 pagine viene fuori un affresco inquietante: «Nei Cpr vige un’extraterritorialità giuridica. Per i detenuti non si applicano i principi costituzionali, né le leggi dello Stato», denuncia l’avvocata Federica Borlizzi, tra le curatrici. Secondo i risultati dello studio due tendenze alimentano una filiera che per alcuni produce lauti guadagni e per altri calpesta diritti fondamentali: la ricerca degli enti gestori della massimizzazione dei profitti; la spinta dello Stato alla minimizzazione dei costi.

Cpr sta per Centri di permanenza per i rimpatri. Prima si chiamavano Centri di identificazione ed espulsione (Cie) e prima ancora Centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpt). Sono stati istituiti nel 1998 dalla Turco-Napolitano. Da allora si sono moltiplicate inchieste, denunce, interrogazioni parlamentari su condizioni di detenzione, abuso di psicofarmaci, episodi di autolesionismo e suicidio. Non è cambiato nulla. O meglio, sono cambiati gli enti gestori. Fino al 2006/7 la Croce rossa. Dal 2008 iniziano a vincere le gare delle cooperative, attraverso offerte economicamente più vantaggiose. Dal 2014 nel mercato entrano grandi multinazionali europee. «Riescono spesso ad aggiudicarsi le gare d’appalto attraverso modalità aggressive, proponendo importanti ribassi sui prezzi a base delle aste con il rischio di gravi violazioni dei diritti fondamentali dei trattenuti», si legge nel rapporto. Il giro d’affari è ghiotto: solo per il biennio 2021-2023 i costi degli appalti toccano quota 56 milioni di euro.

Nel Cpr romano di Ponte Galeria, a Macomer e Torino arriva la Ors. L’acronimo sta per Organisation for Refugees Service, ma il focus non è umanitario. È economico. Il gruppo gestisce 100 strutture tra Svizzera, Austria, Germania e Italia. Qui conta su un lobbista che tiene le relazioni istituzionali. Tra il 2018, data di iscrizione al registro delle imprese, e il 2020, quando inizia effettivamente la sua attività economica, riesce persino a vincere un appalto pur risultando inattiva. A ottobre 2020 il Tar del Friuli Venezia-Giulia annulla l’aggiudicazione di un centro d’accoglienza in provincia di Trieste. «Lo stato di inattività di un’impresa è preclusivo alla possibilità di concorrere a una gara per l’aggiudicazione di un pubblico appalto», scrive il giudice. La multinazionale aveva proposto una spesa di 5 euro al giorno a ospite comprensiva di colazione, pranzo e cena.

Altro grande gruppo di cui il rapporto documenta le attività è quello di Ecofficina-Edeco-Ekene, più nomi per soggetti uguali o strettamente imparentati. Il primo viene espulso nel 2016 da Confcooperative del Veneto che contesta il modello di gestione del mega centro di accoglienza di Cona (finito sotto indagine). Il terzo nel 2019 vince la gara per il Cpr di Gradisca dove tra gennaio 2020 e agosto 2022 muoiono quattro persone. Un record. La prima vittima si chiamava Vakhtang Enukidze, aveva 37 anni. Ucciso da un edema polmonare e cerebrale causato da un cocktail di farmaci e stupefacenti. Per questa vicenda il direttore del Cpr, Simone Borile, è stato rinviato a giudizio. Recentemente il processo è stato aggiornato al 2024. Nel 2021 la Ekene si aggiudica, per ripescaggio, il Cpr di Macomer. Due anni più tardi viene esclusa da quello di Caltanissetta: sette mesi dopo l’assegnazione la prefettura cambia idea per le inchieste giudiziarie che gravano sui vertici del gruppo.

Altri enti gestori sono la Engel-Martinina, che dal settore turistico-alberghiero si butta in quello dell’accoglienza e di trattenimento dei migranti nei Cpr di Palazzo San Gervasio e Milano, e della multinazionale francese Gepsa, i cui business oscillano tra fornitura energetica e detenzione amministrativa. Ai tempi dei Cie si era aggiudicata Ponte Galeria, Milano e Torino. A Bari-Palese e Trapani-Milo, invece, si insedia il colosso Badia Grande.

È su questo sistema che il governo Meloni ha deciso di investire proponendosi di aumentare i centri «fino a uno per regione», com’era peraltro nei piani dell’ex ministro dell’Interno Pd Marco Minniti. «Nessuno dovrebbe essere privato della propria libertà solo per aver violato una norma amministrativa – conclude la Cild – L’eventuale passaggio a una gestione pubblica dei Cpr non cambierebbe lo stato delle cose».

Il rapporto è stato curato da: Marika Ikonomu; Alessandro Leone; Simone Manda;Federica Borlizzi;Eleonora Costa; Oiza Q. Obasuyi.