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Appello dal carcere, la telefonata che salva gli affetti

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Fuoriluogo La rubrica settimanale anti proibizionista. A cura di autori vari

Pubblicato più di un anno faEdizione del 7 giugno 2023

All’inizio dell’emergenza Covid, la sofferenza forse più grave per chi è stato detenuto o detenuta è stata l’interruzione dei rapporti con l’esterno, delle visite delle persone care. Col tempo, le autorità carcerarie hanno cercato di alleviare la segregazione che il Covid rendeva totale, intensificando le telefonate e permettendo le videochiamate. I detenuti/e hanno dunque avuto accesso alla modalità comunicativa di comune uso per chi sta fuori le mura.

Sarebbe stato naturale che questa piccola risorsa tecnologica diventasse di uso ordinario nel carcere, cogliendone appieno la potenzialità di supporto – sempre importante – alla vita affettiva delle persone recluse. E invece pare che si torni indietro. Paradossalmente, la fine dell’emergenza potrebbe cancellare l’innovazione.

Contro questo rischio, si è mobilitata la Conferenza Nazionale del Volontariato Giustizia, Ristretti Orizzonti e l’associazione Sbarre di Zucchero, scrivendo una lettera aperta ai direttori degli istituti penitenziari (che in pochi giorni ha ottenuto centinaia di firme di singoli e associazioni).

L’attacco è eloquente: «Quelle telefonate che ti “riattaccano alla vita”. Quelle telefonate che sono un’accelerata agli affetti delle persone in carcere».

E ancora: «Scrive un detenuto: poter telefonare ogni giorno a casa aveva aiutato la mia famiglia a ritrovarsi. Ora ritornare da una telefonata al giorno a una telefonata a settimana di dieci minuti significa riperdersi. Questo periodo lo ricorderemo con i miei cari per esserci persi di nuovo.

Secondo l’articolo 15 dell’Ordinamento penitenziario il trattamento del condannato e dell’internato è svolto anche «agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia”. Ma quei contatti sono invece una miseria: 10 minuti di telefonata a settimana e 6 ore di colloquio al mese, che vuol dire che un genitore detenuto può dedicare al figlio al massimo tre giorni all’anno».

La richiesta è di non cancellare le facilitazioni ai contatti, in nome di un regime più rispettoso delle finalità risocializzanti della pena; ma anche della gravissima emergenza suicidi: «Gentili direttori, non è motivo “di particolare rilevanza” l’aver chiuso il 2022 con 84 suicidi? “Radio carcere” dice che le telefonate a breve potrebbero non essere più quotidiane o comunque molto frequenti, ma noi non ci crediamo. Non vogliamo credere che i direttori, che hanno la possibilità di concedere più telefonate per motivi “di particolare rilevanza”, rinuncino a un potere, che per una volta è davvero un “potere buono”, di far star meglio le persone detenute, e soprattutto le loro famiglie.

Certo, per chi ha figli minori dovrebbe restare in ogni caso la telefonata quotidiana, prevista dalla legge, ma tutti quei figli maggiorenni che per anni hanno avuto a disposizione solo dieci miserabili minuti settimanali per parlare con un genitore detenuto, perché devono essere di nuovo penalizzati dopo aver faticosamente ricostruito delle relazioni famigliari decenti con la chiamata quotidiana (o comunque molto frequente)?

Gentili direttori, non fateci tornare al peggio del passato, usate il vostro “potere” per prevenire i suicidi con quello straordinario strumento che può essere sentire una voce famigliare nel momento della sofferenza e della voglia di farla finita. Oltre alle videochiamate sostitutive dei colloqui e in numero non inferiore, lasciate le telefonate in più, in nome dell’emergenza suicidi, e anche per dare continuità alla progressività che ispira il percorso rieducativo del detenuto e che è tutelata e garantita dall’art. 27 della Costituzione, attraverso la previsione della finalità rieducativa della pena».

L’affettività è importante, ci auguriamo che i direttori siano sostenuti da un chiaro indirizzo del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria. E magari da una parola del ministro Nordio.

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