Appalti truccati e frodi elettorali, in manette sindaci e imprenditori
Piacenza Coinvolti esponenti di spicco della politica locale con ruoli nazionali
Piacenza Coinvolti esponenti di spicco della politica locale con ruoli nazionali
Appalti truccati, corruzione, schede elettorali fotografate per garantire il buon esito dell’elezione di un sindaco e ancora fatture gonfiate o per lavori mai eseguiti, abuso d’ufficio e l’accusa di associazione a delinquere con sindaci, imprenditori e tecnici pubblici coinvolti, alcuni finiti in carcere e altri ai domiciliari. È un terremoto quello che si è scatenato alle prime luci dell’alba su Piacenza per un’inchiesta che ha coinvolto esponenti di spicco della politica locale, con ruoli anche nazionali: è il caso di Massimo Castelli, coordinatore nazionale dei piccoli comuni Anci, finito in carcere per associazione a delinquere per reati commessi da sindaco di Cerignale, alta Valtrebbia. E accuse pesanti di corruzione e traffico di influenze per un parlamentare piacentino, l’onorevole Tommaso Foti (FdI) che avrebbe fatto da tramite tra un imprenditore edile al centro dell’inchiesta, Nunzio Susino, definito «il sole attorno a cui giravano i politici» in cerca di denaro e favori, e l’assessore all’urbanistica del Comune di Piacenza, Erika Opizzi (FdI), indagata per gli stessi reati, in concorso. Castelli in questi giorni era dato come candidato sindaco del Comune capoluogo per il centrosinistra. Il suo arresto sul lato centrosinistra, e il pesante coinvolgimento di Foti e Opizzi nel centrodestra sembrano sparigliare le carte in tavola in vista delle amministrative della prossima primavera.
La procuratrice capo Grazia Pradella – insieme ai sostituti Matteo Centini e Emilio Pisante – ha reso noti alcuni dei passaggi dell’inchiesta condotta dai carabinieri e iniziata nel 2018 dall’incendio di una pala meccanica. Gli arresti sono scattati all’alba del 10 febbraio «per interrompere un’associazione a delinquere ancora pienamente in funzione» ha specificato la procura. «Questa provincia era dominata sotto il profilo degli appalti pubblici da un gruppo che dominava completamente appalti e gare in provincia, in Valtrebbia, e non solo. Amministratori pubblici che, senza differenza di appartenenza politica, hanno lucrato su appalti e su rapporti intessuti con un gruppo di imprenditori asservito a interessi economici illeciti». Così Pradella su quello che è stato definito «un sistema». Nei guai anche il sindaco di Bobbio, Roberto Pasquali, primo cittadino del Comune eletto «borgo dei borghi» dall’omonima gara indetta dalla Rai nel 2019.
Le indagini sono ancora in corso e una serie di filoni verranno approfonditi per la sistematicità emersa nelle condotte degli indagati. Che sono 37, in totale. Tutto ruotava intorno all’imprenditore Susino pronto anche a pagare elettori per i sindaci amici o produrre fatture per lavori mai realizzati – così Castelli riuscì a incassare 4.000 euro per il suo albergo – e capace di «dialogare» con tutti gli schieramenti. Lo dimostra in città, quando tramite l’assessora all’urbanistica, Opizzi, e l’onorevole Foti, fa stipulare una convenzione tra Comune e aziende compiacenti per un autosilo.
Scambio di mazzette e anche lavori edili a casa di parenti o amici, queste le utilità che Susino forniva agli indagati, tra cui dirigenti del servizio edilizia della Provincia. Sulla centralina idroelettrica di Cerignale, realizzata con oltre 300mila euro di fondi regionali e in cui, si scopre, anche la dimensione di una tubatura e della sua posa erano stati decisa da Castelli per far «saltare fuori» altri lavori non previsti. Nell’inchiesta, episodi di corruzione e turbative sul rifacimento del tetto di una scuola in città (Raineri-Marcora), di una cappella votiva ad Aglio e indebite pressioni di Pasquali per convincere i proprietari di un terreno a vendere allo stesso Susino. «Una città dalle tante facce, spesso vischiosa nei rapporti di potere, con una ricchezza diffusa, un’austera alacrità e un perbenismo imperante talvolta con radicate connessioni con il contesto criminale sommerso». Frasi contro cui si era scagliato proprio l’onorevole Foti, scritte dalla giudice Fiammetta Modica per la sentenza della Caserma Levante. Parole che oggi tornano tremendamente d’attualità.
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