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Antibiotici, una pericolosa resistenza

Antibiotici, una pericolosa resistenza

Materia oscura L’Oms lancia un nuovo allarme sulla resistenza agli antibiotici. Ma le case farmaceutiche preferiscono dedicarsi a settori più redditizi

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 20 settembre 2024

La resistenza agli antibiotici potrebbe diventare una delle prime cause di morte. Se nessuno la prenderà sul serio, le vittime dirette o indirette di batteri resistenti ai farmaci a livello mondiale passeranno dai cinque milioni del 2019 ai circa 10 milioni del 2050, superando la mortalità dei tumori e di molte malattie oggi più diffuse. La proiezione, frutto del lavoro di centinaia di esperti in tutto il mondo, è stata pubblicata lunedì sulla rivista The Lancet e si basa sulle tendenze osservate tra il 1990 e il 2021.

Non è il primo allarme: il problema dell’antibiotico-resistenza è periodicamente sottolineato dalle autorità sanitarie internazionale ma riceve scarso ascolto. L’Italia è uno dei Paesi più indietro tra quelli avanzati: un terzo delle morti causate dai super-batteri in Europa si verifica da noi. Negli anni a venire, saranno però l’Asia e l’Africa a subirne maggiormente l’impatto.

Agli antibiotici dobbiamo gran parte dell’aumento dell’aspettativa di vita registrato nei paesi sviluppati nell’ultimo secolo. Senza, ogni ferita o intervento chirurgico comporterebbe un rischio di infezione enorme. L’uso – e l’abuso – degli antibiotici ha però esercitato una pressione selettiva sui batteri e favorito lo sviluppo di nuovi ceppi resistenti. Non è una sorpresa perché così funziona l’evoluzione di tutte le specie, microbi compresi. Ma mentre i batteri hanno fatto passi avanti per resistere alle nuove molecole, non si può dire altrettanto per l’industria farmaceutica. Senza nuovi antibiotici, la salute mondiale rischia di fare un salto all’indietro di molti decenni.

Le strade per contrastare lo sviluppo di resistenza agli antibiotici sono due. La prima riguarda un uso più attento, che non sempre vengono prescritti in modo appropriato. Contrariamente alla prassi seguita da molti medici di famiglia, infezioni come diarrea, bronchite, sinusite, faringite e otite nella stragrande maggioranza dei casi sono di origine virale e non richiedono l’uso di antibiotici, che non hanno alcun effetto sui virus. Durante la pandemia, molti medici di famiglia hanno prescritto l’azitromicina per combattere il coronavirus, nonostante sia inefficace e l’Oms da anni raccomandi di limitarne l’uso a causa dell’elevato potenziale di sviluppo di resistenza.

La seconda strada è lo sviluppo di antibiotici di nuova generazione. Gran parte dei farmaci attualmente utilizzati risalgono agli anni ’50 e ’60.

Oggi, secondo uno studio della fondazione britannica Wellcome, dei circa diecimila farmaci in corso di sperimentazione solo 62 sono antibiotici e appena 19 sono in uno stadio di sviluppo intermedio o avanzato. Solo una piccola percentuale di questi supereranno tutte le fasi di test e arriveranno sul mercato. Peraltro queste nuove molecole mirano a contrastare solo 8 delle 14 famiglie di antibiotici indicate come «prioritarie» dall’Oms. La ragione si chiama «profitto», vedi alla voce «mancanza di». Secondo un report della società di analisi Boston Consulting Group, lo sviluppo di un farmaco oncologico costa in media 640 milioni di dollari e garantisce 1,7 miliardi annui di fatturato.

Un antibiotico, al contrario, costa mediamente un miliardo di dollari e in un anno rende appena 46 milioni. Diversi Paesi stanno studiando meccanismi commerciali nuovi per incentivare lo sviluppo di antibiotici. La nuova legislazione europea sui farmaci, per esempio, ricompensa le aziende che sviluppano nuovi antibiotici con un diritto di monopolio rafforzato su altri farmaci. Ma molte associazioni e Ong criticano questo «scambio» che rischia di aumentare ancora il potere dei brevetti senza garantire l’arrivo di nuovi farmaci.

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