Ansia migrante al confine, c’è fretta di arrivare negli States prima di martedì
Elettorale americana Passaggio dal Guatemala al Messico con incognita. Reportage dal Rìo Suchiate
Elettorale americana Passaggio dal Guatemala al Messico con incognita. Reportage dal Rìo Suchiate
«Hey, venite qui! Vi porto io dall’altra parte del fiume en balsa». L’uomo urla e si sbraccia in piedi su una scialuppa di travi e pneumatici, attraccata al Paso del Coyote, un luogo dal nome suggestivo sul Río Suchiate, la frontiera tra Guatemala e Messico. È un balsero, un traghettatore, e ogni giorno fa la stessa cosa: per una cifra tra i 2 e i 10 dollari, trasporta i migranti in Messico, per poi tornare carico di sacchi di mais, medicine e quant’altro, alimentando il contrabbando di merci messicane verso il Guatemala.
Ci hanno sequestrati e hanno chiesto un riscatto di 150 dollari. Io ho pagato e mi hanno liberata, ma non ho più visto chi invece non è riuscito a farlo Zoraida, venezuelana
UN TRAFFICO IRREGOLARE e bidirezionale, tollerato dalle autorità transfrontaliere, che dà da mangiare a buona parte della popolazione di Tecún Uman, ultimo baluardo guatemalteco prima di arrivare in Messico.
A guardare questa scena con sguardo rassegnato, un gruppo di persone con bambini al collo e zaini in spalla. Un caldo prepotente si attacca alla pelle e scivola via insieme al sudore freddo dell’ansia, dovuto più alla paura di mettere piede in Messico che sulla zattera sconquassata.
Poi si fanno coraggio e a gruppi di 15 si imbarcano con un unico obiettivo: arrivare negli Stati Uniti prima dell’Election Day del 5 novembre. «In realtà vinca chi vinca sarà comunque un problema, perché né Trump né Kamala Harris simpatizzano per noi migranti», dice José, honduregno mentre aspetta di salpare.
E non hanno torto. Sebbene Trump abbia l’aggravante di promuovere un linguaggio dell’odio verso i migranti, normalmente estraneo ai Democratici, la precedente amministrazione Biden ha deportato oltre un milione di persone che vivevano all’interno del paese in maniera irregolare, allineandosi alle cifre fatte da Trump. Inoltre, il governo uscente ha registrato un record di 3milioni di espulsioni in frontiera durante l’applicazione del Title 42, politica migratoria che permetteva di respingere le persone per motivi sanitari durante la pandemia. E sul tema migratorio, Kamala Harris promette di non essere da meno.
Di fronte all’ipotesi di una recrudescenza delle politiche migratorie post-elezione, un numero crescente di persone ha deciso di mettersi in cammino ed arrivare almeno in Messico il prima possibile.
UNA VOLTA LÌ, l’unico modo per prenotare l’appuntamento di richiesta di asilo negli Stati Uniti è attraverso la app Cbp One, scaricabile ovunque ma che richiede la geolocalizzazione dal Messico. Questa strategia obbliga la maggioranza delle persone a rimanere in Chiapas, uno stato in balia dei cartelli di narcotraffico.
«Ho paura che ci sequestrino» dice Regina, venezuelana di 28 anni, incinta di 4 mesi, seduta sulla sponda vicino alla balsa. «Sono già stata sequestrata nella Selva del Darién… Mi hanno spogliata e messo le mani addosso…Se mi succede la stessa cosa in Messico…Ay, no…» I singhiozzi le spezzano la voce, mentre il balsero le grida di avvicinarsi. Regina fa quello che le ordinano. Si alza e, insieme al marito e la figlia di due anni si va a sedere sulla zattera che si allontana dalla riva.
IL TIMORE DI REGINA è fondato. Il Chiapas, stato messicano del sud, è territorio di battaglia tra il Cártel de Sinaloa e Cártel Jalisco Nueva Generación, che si contendono il traffico di droga, armi e migranti. Sparatorie e massacri sono all’ordine del giorno, tanto che intere comunità di Frontera Comalapa si sono rifugiate in Guatemala.
A Ciudad Hidalgo, l’altra faccia di Tecún Umán, bande locali affiliate ai narcos si dedicano al sequestro express sulla sponda. «Ci hanno sequestrati e hanno chiesto 150 dollari – scrive via WhatsApp Zoraida, venezuelana di 40 anni che ha attraversato con Regina – Io ho pagato e mi hanno liberata, ma non ho più visto chi invece non è riuscito a farlo».
La violenza dei cartelli è diventata così pervasiva che c’è chi ha cominciato a trarne vantaggio. Sono i “coyotes del sistema Cbp One”. «Alcuni migranti guatemaltechi dicono di aver pagato fino a 5mila dollari a delle organizzazioni mafiose che vendono date per la richiesta di asilo – spiega Gemayel Fuentes, responsabile della Casa del Migrante di Tecún Umán – In questo modo, chi se lo può permettere aspetta qui e non si azzarda ad attraversare la frontiera».
QUASI TUTTI I VENEZUELANI invece arrivano in Guatemala senza più un soldo. Impossibilitati a pagare, attraversano la frontiera in zattera e sperano di rimanere poco in Messico, anche se, a parte fortunati casi, la maggioranza rimane in Chiapas anche 5 mesi prima dell’appuntamento, dormendo per le strade e guardandosi costantemente le spalle dai narcos.
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