In Etiopia l’11 settembre si è festeggiato il Capodanno (Enkutatash dell’anno 2015), grandi festeggiamenti per le strade di Addis Abeba: un cielo luminoso e una luce abbagliante segnalano la fine della stagione delle piogge. Le campagne intorno si riempiono di margherite gialle (adey abeba), che simboleggiano l’inizio dell’estate e del nuovo anno. I giovani accendo falò con fasci di rami e foglie (chibo) sperando che il nuovo anno sia luminoso e porti pace e prosperità alla propria famiglia e al Paese.

Ma, al momento, a prevalere è la guerra. Ripresa non si sa bene da chi (dopo una tregua di cinque mesi) lo scorso 24 agosto quando colpi di artiglieria sono stati sparati nei dintorni del confine meridionale del Tigray con lo stato Amhara. Entrambe le parti sostengono di non aver sparato per prime e c’è chi ipotizza che siano stati gli eritrei. Quello che è confermato dai diplomatici occidentali è che l’esercito etiope e la milizia Amhara (Fano) avevano, nelle settimane precedenti, convogliato le proprie truppe proprio a ridosso del confine.

ANCHE DAL LATO TIGRINO i mesi di tregua sarebbero stati utilizzati dal Tplf (Tigrayan People’s Liberation Front) per incrementare i suoi ranghi: addestrare nuove reclute e riarmarsi. Ha sorpreso: nelle settimane precedenti incontri segreti tra funzionari etiopi e tigrini sembrava avessero raggiunto un accordo che prevedeva che forze etiopi avrebbero revocato il blocco del Tigray, l’Eritrea avrebbe ritirato il suo esercito e le parti avrebbero aperto colloqui ufficiali in Kenya a partire dal primo punto all’ordine del giorno, il cessate il fuoco permanente. Sul campo, però, la situazione è rimasta complicata, gli aiuti che arrivavano erano minimi e i tigrini accusavano il governo etiope di usare la fame come arma di guerra.

Per il governo è al contrario «responsabilità dei ribelli del Tplf, gli aiuti sono disponibili, ma vengono usati in modo improprio come valuta per costringere i civili poveri della regione del Tigray a unirsi ai ribelli. Il Tplf affama la gente per il suo pericoloso gioco politico».

Alla vigilia della ripresa dei combattimenti in una lettera ai leader internazionali il presidente del Tigray Debretsion Gebremichael aveva dichiarato: «Ci stiamo avvicinando rapidamente al punto in cui vediamo la morte in faccia: possiamo scegliere solo se moriremo di fame o se moriremo combattendo per i nostri diritti e la nostra dignità».

I tentativi di bloccare nell’immediato la ripresa dei combattimenti sono falliti di fronte a quanto accadeva sul campo. Da settembre l’Eritrea ha aumentato la sua mobilitazione richiamando riservisti di tutte le età, ma il ministro dell’Informazione Yemane Gebremeskel ha affermato che è stato chiamato un «numero esiguo» di riservisti.

SECONDO IL PORTAVOCE del Tplf Getachew Reda le forze eritree, l’esercito etiope e le milizie Amhara avrebbero lanciato dal 20 settembre un’offensiva su vasta scala su tutti i fronti, da Tekeze fino a Irob (in pratica lungo tutto il confine tra Tigray ed Eritrea). Secondo un documento Onu più di 200mila persone sarebbero state costrette a fuggire a causa dei combattimenti delle ultime settimane.

Mentre arrivano nuove armi, l’inflazione sui beni alimentari è al 33% e cresce il mercato nero della valuta. A quasi due anni dall’inizio della guerra (anche qui chiamata operazione di polizia) sembra di ritrovarsi sempre al punto di partenza. L’anno è nuovo, ma sembra ogni giorno più vecchio.