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Angola, repubblica popolare del capitale

Angola, repubblica popolare del capitaleSostenitori dell'Mpla – Reuters

Dopo dos Santos Il voto di mercoledì scorso ribadisce il potere assoluto del partito di maggioranza e il modello petrolio più investimenti cinesi, che tutela solo le élite. Ma tra crisi e dissidenza politica il futuro si fa incerto

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 25 agosto 2017

Secondo dati non ufficiali, quelli sono previsti solo per inizio settembre, le elezioni per il rinnovo dell’Assembleia Nacional e della presidenza angolana dello scorso 23 agosto dovrebbe averle vinte, con probabile maggioranza assoluta, l’Mpla (Movimento Popular de Libertação de Angola).

Una premessa: non sono elezioni aperte e concorrenziali in senso tradizionale, fondamentalmente stiamo parlando di un regime autoritario con pluralismo molto limitato (ossimori). Il parlamento è multipartitico, ma due sono, per il momento, le forze principali: l’Mpla, da sempre al governo, e l’Unita (União Nacional para a Independência Total de Angola) avversario prima nella guerra civile e ora timido oppositore politico (un caso di pacificazione particolarmente raro in Africa). Data la struttura del potere è impensabile una transizione in cui partiti di opposizione possano avvicendarsi all’Mpla.

DETTO QUESTO va tuttavia sottolineato come il passaggio del 23 agosto rappresenti sicuramente un momento di svolta sotto molti punti di vista. Intanto perché dopo quasi 40 anni José Eduardo dos Santos non sarà più capo di stato e di governo (sistema presidenziale), non perché sconfitto ma perché ha deciso di abdicare (resterà comunque uno degli uomini più potenti del Paese).

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Il suo successore designato e, a meno di smentite (l’Unita contesta i risultati), prossimo presidente, è João Lourenço (nato a Lobito nel 1954), ex ministro della difesa, militare con master in storia ottenuto in Unione sovietica. Già, perché l’Angola, fino al 1992, era una «repubblica popolare», poi nell’imminenza della caduta del muro di Berlino a Luanda si è deciso di adeguarsi ai tempi (anche se il passato è facilmente riconoscibile dai simboli iscritti sulla bandiera). Ora la Cina si è sostituita all’Urss e l’ideologia socialista è stata sostituita dai capitali – e da una consistente immigrazione – provenienti da Pechino.

LA SITUAZIONE ECONOMICA non è rosea, anzi, come per tutti i paesi dipendenti dal petrolio anche in Angola le cose non vanno benissimo e lo scorso anno è stato chiesto l’intervento del Fondo monetario internazionale. L’inflazione è da tempo intorno al 30% e il Pil scende dai 126 miliardi del 2014 agli 89 del 2016 (per il 2017 il dato dovrebbe essere positivo) con conseguente erosione del potere di acquisto dei pochissimi che hanno questo potere. La cosa desta particolare preoccupazione, perché insieme all’oscillazione del prezzo del brent oscilla anche il consenso nei confronti del governo e la stabilità potrebbe scricchiolare con conseguenze difficilmente immaginabili.

Dev’essere ricordato infatti che è solo nel 2002, dopo la morte di Jonas Savimbi, che si è chiusa la lunghissima pagina di una devastante guerra civile seguita a un quindicennio di guerra per l’indipendenza.

LA REPRESSIONE si fa quindi molto più occhiuta, anche perché si teme il contagio delle primavere arabe. Lo scorso anno sono stati arrestati per cospirazione un gruppo di giovani oppositori – tra cui il più conosciuto è Luaty Beirão – e condannati, anche se poi rilasciati, a pene superiori ai cinque anni. Nulla da fare veramente impensierire, per il momento, ma tuttavia un segnale.

IL FUTURO è abbastanza incerto, il compito per Lourenço non sarà facile e dietro di lui resterà comunque presente l’ombra di dos Santos che ha piazzato i suoi due figli in posti chiave: Isabel alla guida della società petrolifera Sonangol e Filomeno a comandare il fondo sovrano angolano.

Figura davvero peculiare quella di Isabel dos Santos: amministratrice di numerose holdings è donna d’affari potentissima, secondo il Jornal de Negocios una delle persone più influenti in Portogallo (visti gli immensi investimenti soprattutto nel settore bancario e dei media) di madre Azerbaigiana, nata a Baku (il padre José Eduardo ha studiato in Unione Sovietica) e una laurea in ingegneria a Londra.

CHIARIAMO UN PUNTO, a scanso di equivoci: questa non è una storia di nostalgie, per il socialismo reale, e di riscatto, dell’Africa rispetto alla sua vecchia dominatrice, o di emancipazione femminile, non è neanche la storia di un processo di democratizzazione.No, questa è la storia di un paese estremamente povero e di una élite molto ricca, corrotta e ridotta in numero, che per anni ha approfittato delle risorse di un paese ricchissimo, in petrolio, ma anche diamanti e altre materie prime. È difficile ipotizzare che l’alternanza al potere possa avvenire per via pacifica, ma chissà.

Insomma nulla di nuovo, anche se il modo in cui è stato costruito tutto questo, è estremamente peculiare.

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