«Facciamo una pausa, ho preparato il tè». Abu Mustafa poggia il vassoio in bilico sulle macerie. I volontari lavano via il fango dalle mani e si siedono su cumuli di detriti. Ricostruiscono la casa del villaggio di Fasayel che ospita il Jordan Valley Solidarity, associazione che sostiene le famiglie rimaste a vivere in questa striscia di terra, target dal 1967 delle politiche di annessione israeliane.

Gli strumenti sono gli stessi che hanno permesso al JVS di tirare su a costo zero 200 abitazioni, 4 scuole e 3 cliniche: un misto di paglia, acqua e terra. Fango. «La campagna è nata nel 2004 – spiega al manifesto Rasheed Khudairy, coordinatore del JVS – Oltre a case, cliniche e scuole oggi riconosciute dall’Autorità Palestinese, abbiamo costruito quattro reti idriche».

Fasayel, 1.500 abitanti, è un microcosmo della situazione nella Valle del Giordano: parzialmente distrutto nel 1967 e oggi circondato da due colonie, Tomer e El’Fasail, tirate su sopra le terre agricole confiscate al villaggio, con gli Accordi di Oslo è stato diviso in Area B (sotto il controllo civile palestinese e militare israeliano) e Area C (sotto il totale controllo israeliano).

Dei 2,4 km² di terre possedute, ne restano a Fasayel meno di 300. «Chi vive in Area B – riprende Rasheed – è quasi fortunato: può costruire case e ha maggiore accesso all’acqua. Si nota la differenza: nella parte in Area C non ci sono quasi più alberi, l’area è desertificata. Nonostante ciò, ci vivono ancora 600 persone, rifiutano di andarsene».

A poca distanza il verde lussureggiante delle colonie agricole ricorda le oasi dei film. Oasi che costano caro ai palestinesi: «L’acqua che ci passa sotto i piedi è inaccessibile, dobbiamo acquistarla dalla compagnia israeliana Mekorot. Trenta shekel per metro cubo, 6 euro. I coloni la pagano 3 shekel. Ogni famiglia per i bisogni base spende al mese mille shekel, due terzi di uno stipendio medio. Non siamo autorizzati a scavare pozzi, se non entro 150 metri di profondità, mentre i coloni possono arrivare a 800. L’acqua a cui abbiamo accesso è salata, inutilizzabile».

Difficile sostenere comunità relegate ai margini, in un’area, la Valle del Giordano, che Israele non intende cedere perché fertilissima e perché unico confine verso l’esterno per la Cisgiordania. I volontari del JVS aiutano le famiglie che si sono viste demolire la casa dai bulldozer israeliani. Lo fanno con il fango, un processo semplice: «Scavi un buco nella terra, lo riempi di acqua e paglia e prepari mattoni – continua Rasheed mentre mescola il composto – Poi li lasci ad asciugare qualche giorno».

«Nel 2007 abbiamo costruito la scuola a Fasayel. Prima i nostri figli non potevano studiare o erano costretti a lunghi viaggi verso Gerico o Tubas. Israele nega il diritto all’educazione da 47 anni: molte famiglie sono andate vie perché mancavano le scuole. Ora molti bambini passano le mattine a studiare, non a lavorare nelle colonie».

Non sono solo gli adulti quelli obbligati a portare il pane in tavola lavorando nei vicini insediamenti israeliani. Nessun diritto né sicurezza, per 50 shekel al giorno (10 euro, quando il salario minimo israeliano è di 5 euro l’ora), nelle terre prima di loro proprietà e oggi occupate: «Sono circa 10mila i palestinesi che lavorano nelle colonie della Valle del Giordano. Non abbiamo scelta – aggiunge Ahmad Abu Said, consigliere comunale del vicino villaggio di Al Jiftlik – Non coltiviamo la terra perché i costi sono più alti delle entrate. Non siamo competitivi contro i coloni, producono tanto a prezzi bassissimi. Non abbiamo acqua per l’agricoltura anche se tra Fasayel e Al Jiftlik ci sono 34 pozzi sotterranei. Così distruggono il nostro futuro».

«Nel ’67 nei 52 villaggi presenti vivevano 320mila persone, oggi sono 57mila in 17 comunità – ci dice Shireen, volontaria del fango – Il 90% è concentrato a Gerico, Area A. Per il resto, il 93,4% della Valle del Giordano è in Area C, dove sorgono 37 colonie, 5 checkpoint e 20 basi militari». Demolizioni, carenza d’acqua, scarsa produttività: un mix esplosivo che in 47 anni si è tradotto nel trasferimento forzato dell’80% della popolazione palestinese.