Andrea Fumagalli: «Denaro dall’elicottero? Sì, ma vada direttamente alle persone»
Intervista Parla l'economista dell'università di Pavia e membro del Basic Income Netowork Italia (Bin): "In questa crisi indotta dal Coronavirus bisogna definire un nuovo canale di trasmissione della liquidità, con la mediazione dei governi, e finanziare un reddito di base incondizionato in maniera strutturale"
Intervista Parla l'economista dell'università di Pavia e membro del Basic Income Netowork Italia (Bin): "In questa crisi indotta dal Coronavirus bisogna definire un nuovo canale di trasmissione della liquidità, con la mediazione dei governi, e finanziare un reddito di base incondizionato in maniera strutturale"
Andrea Fumagalli, economista all’università di Pavia e membro del Basic Income Network-Italia (Bin), si torna a parlare di «Helicopter Money», il denaro dall’elicottero erogato delle banche centrali. Può essere una soluzione contro la crisi economica indotta dal virus Covid 19?
Sì, perché oggi è venuto meno il rapporto tra crescita della moneta e dinamica dell’inflazione che è stato il cavallo di battaglia della teoria monetarista su cui è fondato il trattato di Maastricht. Le politiche monetarie delle banche centrali come la Fed negli Stati Uniti e poi da Mario Draghi con la Bce in Europa hanno alimentato i mercati finanziari favorendo la crescita molto sostenuta degli indici di borsa, ma poco o nulla è sgocciolato verso l’economia reale. Bisogna definire un nuovo canale di trasmissione della liquidità, con la mediazione dei governi, finanziando un sostegno al reddito di base incondizionato che vada direttamente alle persone in maniera strutturale. In Italia lo si può fare immediatamente riformando l’attuale «reddito di cittadinanza» in senso più universalistico e meno vincolante. Come Bin-Italia abbiamo lanciato in queste ore una petizione al governo e al parlamento per ottenerlo.
Qual è la differenza con la proposta del denaro dall’elicottero avanzata nel 1969 da Milton Friedman?
Prima il canale di trasmissione della liquidità creata passava dai mercati finanziari e creditizi, attraverso l’acquisto di titoli privati e di stato, oggi passerebbe direttamente nei portafogli dei cittadini. È quello che il governo di Hong Kong sta facendo in questi giorni. Lo stesso Trump sembra avviato in questa direzione.
Qual è la differenza tra questo approccio al quantitative easing e quello da 750 miliardi di euro della Bce?
Quella della Bce è stata una scelta obbligata, dopo che gli interventi dei giorni scorsi si sono rivelati assolutamente insufficienti. Di fronte al calo di un terzo del valore delle borse mondiali, di concerto con la Fed statunitense, la Bce era obbligata a compensare le perdite. Ma questa politica ricalca quella di Draghi. Oggi invece ne occorre una radicalmente diversa per finanziare il reddito in modo diretto.
Questa politica monetaria va accompagnata da una fiscale?
È necessaria, anche se in Europa oggi è un’opzione complicata. Abbiamo infatti una politica monetaria unica, ma una politica fiscale su base nazionale. La proposta di una politica fiscale comune con un bilancio unico, e una legge di bilancio unica, incontra ostacoli di carattere politico. La Germania a parole si dimostra favorevole, ma come precondizione chiede che ogni Stato metta ordine nei suoi bilanci tramite politiche di austerità. Ma la crisi mette seriamente in discussione questo approccio. La situazione oggi in Italia sarà simile a quella in cui si troveranno domani Francia, Germania e Spagna. Tutti saranno costretti a sforare i parametri del bilancio. L’emergenza creata dal virus potrebbe forzare la richiesta di una politica di bilancio europeo.
Come sarà finanziato il nuovo sistema?
Con l’emissione di un titolo comune europeo, l’Eurobond, che non a caso ha sempre visto l’opposizione della Germania. La Bce crea liquidità per rastrellare fondi sui mercati. A questo si dovrebbe aggiungere nuova moneta, attraverso il quantitative easing. Negli ultimi anni si stima che la liquidità creata dalla Bce sia stata pari a circa il 20% del Pil europeo (più di 3,3 trilioni di euro), con un effetto sui prezzi dello 0,5%, cioè irrisorio.
Perché non esiste un problema di inflazione?
Esatto, anzi oggi abbiamo un problema di deflazione. L’inesistenza del legame tra aumento dell’offerta di moneta e l’aumento dei prezzi rende non più verificabile la teoria monetarista di Friedman. La moneta è diventata un puro segno e non ha un rapporto con un elemento materiale.
Sul tavolo c’è anche l’ipotesi di intervenire con il Mes. Perché suscita così tante polemiche?
Il Mes è il tentativo di imbrigliare e controllare l’erogazione di liquidità che derivano dalle scelte di politica monetaria della Bce, imponendo vincoli ai paesi che sono maggiormente indebitati come l’Italia. Non credo sia opportuno approvarlo.
Saranno necessarie risorse enormi. L’Italia ha un debito sostenibile?
Questo problema si porrà per tutti i paesi europei ed è proprio per questo che è necessario anticiparlo attraverso politiche anti-cicliche di natura monetaria e fiscale. A nessun paese, anche il più falco, conviene oggi che Italia o Spagna entrino in default. È preferibile, e meno costosa, una ristrutturazione del debito, se fosse necessario: non pagare una parte dei debitori, una parziale insolvenza. La quota di debito pubblico italiano detenuto da Bankitalia è fortemente aumentato fino a superare il 15%. Bankitalia può fare a meno di questo debito, non va in fallimento. Il rischio è che si possa scatenare un’ondata speculativa. Per questo è necessario un paracadute europeo. Una politica redistribuiva a sostegno della domanda aggregata attraverso il sostegno al reddito avrebbe un effetto di controbilanciamento alle spinte recessive sul Pil. Ciò potrebbe impedire di fare aumentare il debito.
L’austerità è carta straccia?
Lo è sempre stata. È assurta agli onori delle cronache a causa dell’egemonia politica tedesca e per favorire la finanza e le grandi multinazionali. Se fosse accompagnata da una riforma del sistema fiscale e da una riforma del welfare adeguata alle trasformazioni del lavoro, nonché a politiche migratorie più aperte, la nuova politica potrebbe invece giovare a grandi fasce di popolazione che oggi soffrono ancora di più la mancanza di reddito e di lavoro.
Che tipo di crisi stiamo vivendo?
Non è una semplice crisi economica e finanziaria, ma assume connotati di crisi sociale e politica e rischia di mettere in moto, oltre a processi di devastazione economica, anche nuove forme di controllo sociale verso un processo di individualizzazione e virtualizzazione della vita umana. Molto dipenderà dalla capacità di reazione che si metteranno in moto una volta terminata l’emergenza sanitaria.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento