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Anche per Schlein è ora di impugnare il megafono

Elly Schlein foto LaPresseElly Schlein – foto LaPresse

Sinistra Le immagini dal Michigan che mostravano Joe Biden che manifestava il proprio sostegno ai lavoratori in sciopero hanno colpito anche alcuni tra i più disincantati osservatori della politica statunitense

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 28 settembre 2023

Le immagini dal Michigan che mostravano Joe Biden che manifestava il proprio sostegno ai lavoratori in sciopero hanno colpito anche alcuni tra i più disincantati osservatori della politica statunitense. Ben poco è lasciato al caso nel corso di una campagna per eleggere il presidente degli Stati uniti, ed è chiaro che tutto, dal luogo (il picchetto all’ingresso di uno stabilimento della General Motors) all’abbigliamento (il berretto del sindacato Uaw), era stato pianificato con attenzione.

In difficoltà nei sondaggi, il presidente uscente ha bisogno di recuperare il voto dei lavoratori delle aree industriali, che nel passato recente sono stati attratti dagli slogan protezionisti di Donald Trump. L’opportunità per l’incontro tra Biden e i dipendenti della GM in sciopero è stata trovata in modo da prevenire l’effetto di una simile iniziativa da parte dell’ex presidente, che pare intenzionato a candidarsi nuovamente.

Shawn Fain, il leader del sindacato, che ha preso la parola dopo il presidente in carica, ha messo in chiaro che i lavoratori sono più inclini a fidarsi di un democratico di grande esperienza che di un miliardario che ha dato pessima prova di sé nel suo primo soggiorno alla Casa bianca. Se la strategia elettorale ha avuto un peso, ciò che è accaduto martedì non può essere ridotto al puro calcolo. Lo hanno rilevato immediatamente gli esponenti di spicco della sinistra dei Democratici, da Sanders a Ocasio Cortez, e buona parte delle testate giornalistiche d’oltre oceano, che hanno sottolineato che mai prima d’ora un presidente in carica si era recato di persona a manifestare la propria solidarietà ai lavoratori in sciopero. Pur avendo parlato per pochi minuti, utilizzando un megafono, Biden ha messo in chiaro che la sua presenza era un gesto rivolto non solo agli aderenti a Uaw, ma più in generale a tutti i lavoratori che da decenni si sono sentiti abbandonati da un partito che è apparso più sensibile alle esigenze di Wall Street che a quelle della classe media. In modo inequivocabile, Biden ha affermato che i lavoratori hanno diritto a una parte equa (a fair share) del prodotto sociale. Qualcosa che né Obama né Clinton hanno detto in modo altrettanto chiaro da presidenti in carica.

Questo non vuol dire che Biden si sia convertito al socialismo democratico, che pure ha un consenso crescente anche tra i più giovani elettori del partito in cui egli milita da decenni, su posizioni impeccabilmente centriste e moderate. Nel richiamo all’equità c’è semmai il recupero di un elemento centrale della tradizione progressista statunitense, che vede nella partecipazione diffusa ai benefici che vengono da un’economia di libero mercato un presidio essenziale per la difesa della costituzione e del patto sociale che la giustifica. Non Marx dunque, ma Rawls, il filosofo che oggi molti rivalutano come teorico di un regime liberale e democratico che non sacrifichi all’imperativo della crescita e del profitto i più deboli e i meno tutelati.

Visto dall’Italia il presidente che afferra il megafono per diffondere con forza il suo messaggio di solidarietà interclassista colpisce. Non passa giorno, infatti, senza che i principali organi di stampa del nostro paese pubblichino un commento o un editoriale in cui la segreteria del Pd, un partito che sin dal nome si richiama ai Democratici Usa, viene criticata perché sosterrebbe posizioni troppo radicali. Le dicono senza tante cerimonie che dovrebbe abbassare i toni quando critica il governo Meloni, evitando di disturbare il manovratore con richieste di maggiore giustizia sociale. Preoccuparsi del lavoro dipendente, indebolito dalla precarietà e impoverito da salari stagnanti da decenni, sarebbe, secondo questi benpensanti, non solo un errore politico (si vince al centro, puntando all’elettore mediano, dicono, senza alcuna evidenza), ma anche un’imperdonabile mancanza di galateo. Eppure, in una situazione in cui le opposizioni sono divise, e il Movimento 5 Stelle cavalca con disinvoltura temi securitari tipici della destra, è evidente che Elly Schlein può recuperare consensi proprio offrendo agli elettori una prospettiva chiara, fatta di giustizia sociale e di inclusione civile.

Un patto sociale più equo di quello che tre decenni di politiche neoliberali, portate avanti anche con il determinante contributo del Pd (basti pensare alla politica industriale e del lavoro), lascia in eredità ai giovani, che hanno visto le proprie aspettative per il futuro drasticamente avvilite dal pesante fardello della «policrisi». In gioco, negli Usa come in Italia, c’è molto più di un risultato elettorale. A essere a rischio è la stessa democrazia come l’abbiamo conosciuta dopo la fine del Fascismo. Un sfida di questa portata richiede combattività, non acquiescenza. Anche per Schlein è ora di impugnare il megafono.

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