Un cattolico che volesse rispondere all’appello della Conferenza episcopale italiana e della Caritas e fare una donazione a sostegno della popolazione ucraina sotto le bombe verserebbe il proprio contributo su una «banca armata», cioè Unicredit o Intesa San Paolo. La stessa cosa accadrebbe a un fedele valdese, battista, metodista o luterano, visto che anche la «sottoscrizione Ucraina» promossa dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia si appoggia su Unicredit.

I due istituti sono infatti ai vertici della classifica delle banche che prestano i propri servizi alle industrie armiere italiane: Unicredit è al primo posto, avendo movimentato nel 2021 quasi due miliardi e 400 milioni di euro, la metà dell’intero volume di export di armamenti made in Italy. Segue Intesa San Paolo, con 968 milioni.

Contraddizioni di un processo in cui enti e organizzazioni – in questo caso legati alle Chiese –, pur con l’intenzione di agire a fin di bene, alimentano un sistema nel quale bombe, cannoni e banche sono vasi comunicanti. Magari per strappare migliori condizioni contrattuali o incassare qualche zero virgola di interessi in più.

NOMI E NUMERI sono noti da pochi giorni (ma il gruppo delle «banche armate» è stabile da anni). A inizio aprile è stata trasmessa al Parlamento la Relazione del governo sull’import-export di armi nel 2021, in cui sono indicate anche le operazioni bancarie delle aziende armiere e l’elenco degli istituti di credito che spostano, anticipano e incassano soldi della vendita di armi, percependo interessi e commissioni.

Nella top ten delle «banche armate», dietro Unicredit e Intesa San Paolo, ci sono Deutsche Bank, che ha importi segnalati per esportazioni definitive pari a quasi 737 milioni, il gruppo Bnp Paribas-Bnl (209 milioni) e Banca popolare di Sondrio, con 154 milioni. Seguono due istituti esteri: Barclays (139 milioni) e Commerzbank (116 milioni). Infine Bper (96 milioni), Europe Arab Bank (59 milioni), Banco Bpm (52 milioni) e Banca Valsabbina (35 milioni). Nell’elenco completo figura anche Poste Italiane, sebbene con un importo minimo: 41mila euro.

Se queste sono le «banche armate», nella galassia degli enti cattolici si salvano in pochissimi.

LA CEI INCASSA erogazioni liberali e offerte deducibili per il sostentamento del clero tramite sette diversi conti bancari – fra cui Banca Etica –, quattro dei quali aperti in «banche armate»: Unicredit, Intesa San Paolo, Bnl e Bpm. E così la Caritas Italiana: un conto è in Banca Etica, ma gli altri due sono presso le regine delle «banche armate», Unicredit e Intesa San Paolo.

Ma nemmeno i valdesi si distinguono: la Diaconia valdese – l’ente che coordina l’attività sociale delle Chiese valdesi – utilizza Intesa San Paolo.

Ci sono poi gli atenei pontifici, quindi direttamente legati alla Santa sede, che hanno scelto come tesorerie diverse «banche armate»: Banca popolare di Sondrio per la Pontificia università lateranense (l’“ateneo del papa”) e per l’Università pontificia salesiana; Unicredit per le Pontificie università gregoriana (dei gesuiti, che però ha un conto anche in Banca Etica) e della Santa Croce (dell’Opus Dei).

PER QUANTO RIGUARDA la sanità vaticana, il policlinico Gemelli ha scelto Unicredit, mentre la collegata Università cattolica del Sacro Cuore ha optato per Intesa San Paolo, così come l’ospedale pediatrico Bambino Gesù, la cui presidente, Mariella Enoc, così presentava l’accordo: «Siamo contenti di intraprendere questa nuova avventura con una realtà tradizionalmente attenta alla dimensione sociale come il gruppo Intesa San Paolo», cioè la seconda «banca armata» italiana. Il Campus biomedico dell’Opus Dei si appoggia invece a Banca popolare di Sondrio, la Casa sollievo della sofferenza (l’ospedale di padre Pio) a Bper.

Ci sono però voci critiche: le riviste missionarie Nigrizia e Missione Oggi, insieme a Pax Christi e Mosaico di pace portano avanti la campagna di pressione alle «banche armate» e raccomandano, anche e soprattutto alle strutture cattoliche, di «verificare le banche in cui abbiamo depositato i risparmi evitando quei gruppi che finanziano, giustificano e sostengono l’industria, il commercio e la ricerca militare». Parole poco ascoltate.

Errata Corrige

Per un evidente refuso, nella versione originale dell’articolo l’università Lateranense era definita “la banca del papa” quando è ovvio che essa sia, sempre tra virgolette, “l’ateneo del papa”. Inoltre, è stato aggiunto all’elenco di banche armate il gruppo Bnp-Paribas ed è stato corretto il numero di conti della Cei accesi presso banche armate (quattro e non 3 come scritto in origine).  La versione sul sito è stata corretta. Ci scusiamo con i lettori