Anche Milano venerdì si è unita all’ondata di occupazioni dei campus che dall’America ha contagiato l’Europa e il mondo intero: sul chiostro centrale della Statale campeggia lo stendardo della bandiera palestinese, a guardare le quaranta tende e i due gazebo che costituiscono gli inizi di una cittadella di protesta contro la minaccia di genocidio che incombe sulla popolazione sfollata a Rafah.

Non che Milano si sia mossa tardi per la Palestina. È già stata teatro il 24 febbraio di una manifestazione nazionale per la Palestina che ha registrato una partecipazione clamorosa e ha dato risalto alle posizioni antimperialiste e antisioniste in città, presidiando Piazza Duomo il 25 aprile con un mare di bandiere palestinesi, per dare un senso contemporaneo alla Resistenza (e contestare il palco delle autorità).

L’occupazione milanese è l’ultima di un processo a catena messo in moto dall’insensata repressione della prima acampada per la Palestina, nel Morningside Heights Campus della Columbia University, con la presidentessa Shafik che ha chiamato il Nypd ad arrestare studenti e studentesse propalestina a centinaia.

Era dal Sessantotto che le università di New York, Los Angeles, Città del Messico e Parigi non venivano simultaneamente occupate. Le manifestazioni oceaniche di Londra e Washington in solidarietà con Gaza hanno cambiato l’equazione diplomatica.

La destra reazionaria teme la sconfitta sul piano delle idee, perché la Generazione Z è latrice di valori antitetici alla sua politica neoliberale. Il movimento delle acampadas nei campus è integralmente anticapitalista, antifascista, anticoloniale e pratica valori transfemministi e climattivisti che sono il futuro dell’umanità, pericolosi per chi ci vuole riportare a un passato dove le donne sono sottomesse e i giovani muoiono in guerra.

Dalla Columbia, il grido «Free, Free Palestine» riecheggia in Europa da Sciences Po a Parigi alla Freie Universitaet di Berlino. Il primo ministro francese ha parlato di importazione di nefaste idee da oltreoceano (ma allora Lafayette e Jefferson?).

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La Generazione Z ha più coraggio e determinazione degli omologhi sessantottini perché deve muoversi in una società dove le forze di destra sono in ascesa: mentre gli anni Sessanta erano universalmente progressisti, gli anni Venti sono prevalentemente illiberali. Il movimento studentesco è accusato di essere antisemita e traditore dei valori occidentali, e la repressione colpisce più duramente oggi che nel Sessantotto.

Vedremo come rettori e un ministro degli Interni dal manganello facile risponderanno alle occupazioni universitarie che, partite da Bologna e Napoli, si sono estese a Roma e Padova e presto in tutta Italia.

A Milano la gestione di piazza è stata raramente draconiana negli ultimi vent’anni, ma il trattamento riservato a Roma a contestatrici e contestatori del familismo natalista consiglia di non fidarsi e di prepararsi a resistere.

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Cos’hanno in comune Festa del Perdono e Hind’s Hall? Una profonda sfiducia nella politica ufficiale. A Columbia chi vota lo farà per Cornel West piuttosto che per Biden, visto come il complice del massacro di innocenti. A Milano chi va a votare lo fa perché c’è Ilaria Salis, ma non crede più nella sinistra.

La verità è che la nuova sinistra è quella propal, i ragazzi e le ragazze sono l’unico orizzonte di speranza in un’epoca cinica e brutale. Soprattutto, sono l’unico antidoto contro il ritorno della guerra e del fascismo.