Il lungo ’68 americano ha inizio con il Free speach movement, la pacifica rivolta di Berkeley del 1964, e si conclude nel 1971 con le la repressione e la strage degli studenti neri che protestavano contro l’invasione americana della Cambogia a Kent State University. Ma l’episodio più rilevante di questa stagione di mobilitazioni studentesche, e in generale giovanili, fu l’occupazione della Columbia University di New York iniziata il 23 aprile del 1968 e conclusasi una settimana più tardi, il 30 aprile alle 2:50 del mattino, con lo sgombero effettuato dalla polizia e 720 arrestati su 17mila studenti.

La maggior parte degli studenti coinvolti – io ero uno di loro – si fece arrestare volontariamente con l’obiettivo di mostrare quanto grande fosse il movimento che si opponeva al coinvolgimento dell’Università nel complesso militare industriale e alla guerra in Vietnam. L’occupazione di Columbia fu uno degli ultimi episodi di disobbedienza civile di massa, una forma di lotta che nel decennio precedente aveva caratterizzato il movimento per i diritti civili per il quale la cosciente violazione della legge, con tutti i rischi che comportava, serviva a denunciare il carattere ingiusto delle leggi stesse e delle pratiche discriminatorie e spesso razziste in atto nella società americana.

IL QUADRO POLITICO era dominato dalla guerra del Vietnam, dove gli americani erano da vari anni impantanati con un crescente numero di vittime. Vale la pena ricordare che a quell’epoca la guerra si faceva ancora con l’invio delle truppe sul terreno e che nel ’68 non erano più coinvolti solo i volontari, in larga parte neri o latini: non bastavano più ed era iniziato il reclutamento obbligatorio per tutti i giovani appartenenti alle classi di leva. Frequentare l’università dava la possibilità di un rimando ma a studi terminati – o interrotti per un insuccesso scolastico – arrivava la cartolina e si doveva andare in Vietnam o fuggire in Canada.

È soprattutto questo clima a far montare la rivolta nel ’68 che esplode a fine aprile. Da mesi si vedeva nel campus la presenza di un ufficio mobile della struttura di reclutamento ed erano noti i rapporti dell’università con l’Institute for Defence Analysis. Alle motivazioni politiche generali si sommava il rischio individuale. Un minimo di presenza organizzata era espressa dei giovani della Sds, Students for a Democratic Society, organizzazione radicale presente soprattutto tra i giovani undergraduate, corrispondenti grosso modo ai nostri studenti della triennale.

La sociologa Frances Fox Piven scala la Columbia nel 1968 - Ap
La sociologa Frances Fox Piven scala la Columbia nel 1968 – Ap

Il punto focale dell’occupazione, esattamente com’è accaduto adesso, a Columbia era Hamilton Hall. Qui nei giorni dell’occupazione capitavano e parlavano personalità della cultura di sinistra. E qui si era concentrata la presenza di studenti neri.

Le ragioni dichiarate dell’occupazione era molto semplice e con dei punti particolarmente simbolici. Si chiedeva la fine della espansione delle proprietà di Columbia nelle aree circostanti il campus e soprattutto nell’area di confine con Harlem, un piccolo parco dove l’Università intendeva costruire una palestra per i suoi studenti escludendo la gente locale. Altre rivendicazioni riguardavano la fine del reclutamento nel campus e la fine del coinvolgimento dell’Università nelle operazioni belliche. Ma ormai la spinta alla mobilitazione aveva assunto un carattere più generale e cominciava a riguardare il ruolo dell’università in generale: la trattativa, diventava sempre meno possibile.

MA PERCHÉ PROPRIO Columbia? Allora come ora la spiegazione sta in alcune specificità di questa università, costanti nel corso della sua storia. Appartiene alla Ivy League (la Lega dell’edera) costituita dalle università di élite localizzate in piccoli centri fuori dalle grandi città ma sta al centro della più importante metropoli d’America. E questa prima eccezione deriva dal fatto che l’espansione di Manhattan nel corso del tempo ha accerchiato il suo piccolo campus. Ma ancora più importante è la distinzione rispetto alle università consorelle per essere stata da lungo tempo meno connotata in termini di composizione di classe ed etnica della popolazione studentesca: al contrario delle altre tutte a prevalenza wasp Columbia per prima fu più aperta nei confronti di altre componenti del melting pot americano.

Forte è stato storicamente il nesso con il City College di New York – università pubblica e grande veicolo di ascesa sociale per i figli e i figli dei figli della grande immigrazione a cavallo tra Ottocento e Novecento, soprattutto ebrei e poi anche italiani. E non a caso nelle mobilitazioni e negli arresti dei giorni scorsi la Cuny (City University New York) ha avuto un ruolo di primo piano come Columbia.

Lo sgombero della Columbia del 1968 - Ap
Lo sgombero della Columbia del 1968 – Ap

MOLTE COSE sono cambiate da allora ad oggi, a cominciare dalla composizione etnico nazionale della popolazione studentesca e dal fatto che ora non c’è il rischio di essere mandati a combattere bensì solo quello di essere espulsi e perdere la borsa di studio. Ma molte sono anche le analogie. Pace, diritti umani e diritti dei popoli sono il dato che accomuna le mobilitazioni di ieri e quelle di oggi. Il dato distintivo più forte che fa di Columbia oggi un vero e proprio caso di centralità e al contempo di specificità è rappresentato dalla significativa presenza della componente ebraica nelle mobilitazioni per Gaza e la Palestina.

La vicenda del ’68 si conclude con una breve ripresa dell’occupazione e relativo sgombero e con la successiva normalizzazione con i licenziamenti o l’invito alle dimissioni di docenti che avevano simpatizzato con l’occupazione e alcune espulsioni di studenti. E questo triste epilogo corrisponde a una generale svolta politica e sociale rappresentata dalla fine della Great Society jonhsoniana e la drastica riduzione delle politiche di welfare e dei diritti civili. Ma un filo rosso legherà nei decenni successivi e fino a oggi la vita di Columbia e aiuta a comprendere il suo ruolo attuale e le sue caratteristiche nel movimento in corso.

Lo sgombero della Columbia del 1968 - Ap
Lo sgombero della Columbia del 1968 – Ap

SONO PASSATE ADESSO alcune settimane da quando la radio, la televisione e i giornali hanno cominciato a dare notizia delle mobilitazioni studentesche nelle principali università americane. Il pensiero è corso subito agli eventi del Sessantotto che ebbe il suo apice proprio ad aprile.

La ricorrenza è abbastanza casuale ma non lo è il fatto che la nuova ondata di lotte sia partita proprio da Columbia e che la mobilitazione degli studenti di questo università oggi non è stata solo la più grande, ma anche quella con la più elevata presenza di organizzazioni, studenti e cittadini ebrei in solidarietà con la popolazione di Gaza. In realtà nel lungo lasso di tempo compreso tra il ‘68 ed oggi a Columbia non c’è stato un salto, un vuoto politico, ma al contrario una certa continuità con alti e bassi, una sorta di fiume carsico che ogni tanto è emerso dando origine a mobilitazioni talvolta anche coronate da successo. Ci sono state lotte contro il coinvolgimento dell’Università in operazioni economiche con il complesso militare industriale o con i grandi piani edilizi per la costruzione di nuove carceri o di appoggio a regimi reazionari. Gli studenti in lotta hanno ottenuto il disinvestimento da attività economiche ritenute inaccettabili sul piano etico. Nel 1985 c’è stata la più significativa manifestazione per il boicottaggio del Sudafrica dell’Apartheid e per la liberazione di Nelson Mandela con grande partecipazione studentesca e appoggio di esponenti del mondo culturale. È questo il filo rosso che lega Columbia di mezzo secolo addietro con quella di oggi. È stata molto felice l’espressione di un professore che, intervistato su ciò che sta avvenendo ora, ha sostenuto che « l’occupazione è la continuazione dell’educazione con altri mezzi».