Alla fine del 2023 il governo ha creato un Fondo per le vittime dell’amianto di ben 20 milioni di euro riservato al settore dei cantieri navali in cui il materiale è stato usato in grande quantità. A incassarlo, tuttavia, potrebbero non essere i lavoratori dei cantieri ma le imprese per le quali lavoravano. Il fondo stanziato dal governo a questo scopo infatti è destinato ai «lavoratori di società partecipate pubbliche che hanno contratto patologie asbesto-correlate durante l’attività lavorativa prestata presso i cantieri navali». Ma anche alle società partecipate stesse, che potranno usarlo per recuperare i risarcimenti versati. E grazie alle procedure stabilite dal governo, è probabile che siano soprattutto le aziende a approfittarne. La denuncia proviene dall’Associazione Italiana Esposti Amianto (Aiea) che adesso vuole vederci chiaro.

IL NUOVO FONDO si aggiunge a quello introdotto nel 2007 per i lavoratori e per i loro familiari e a quello creato nel 2015 per il settore portuale. È stato istituito a marzo 2023 ma solo il 29 dicembre scorso il Ministero del lavoro e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) ne hanno definito i requisiti per l’accesso. L’indennizzo è rivolto ai lavoratori che non hanno ancora incassato il risarcimento previsto da una sentenza e potrà anche rimborsare le aziende per quelli già corrisposti. Si usa il plurale, ma tutti sanno che quando si parla di cantieri navali a partecipazione statale l’identikit aderisce perfettamente al gruppo Fincantieri, controllato per oltre il 70% da «Cassa Depositi e Prestiti» e dunque dal governo. Fincantieri ha già subito decine di condanne per i casi di mesotelioma, asbestosi, tumori alla laringe e altre patologie provocati dal contatto con l’amianto, presente sulle navi che transitavano per i cantieri anche quando era ormai fuori legge da anni.

DIVERSI ELEMENTI fanno pensare che alle vittime rimarrà solo una piccola percentuale del fondo. L’accesso per i lavoratori è infatti assai restrittivo. «Riguarda solo i dipendenti diretti di Fincantieri e delle società partecipate», dice al manifesto la presidente nazionale dell’Aiea Maura Crudeli. «Ne sono dunque escluse molte migliaia di lavoratori che operano negli stabilimenti di Fincantieri alle dipendenze di aziende subappaltanti, in molti casi chiuse o fallite». È stato il caso anche di suo padre Mauro. «È morto a 70 anni dopo una vita passata nei cantieri di Monfalcone, Mestre e Riva Trigoso» ricorda Crudeli. «Ma per lui non è stato versato alcun risarcimento perché lavorava per una delle aziende a cui Fincantieri esternalizzava il lavoro».

LA DOMANDA inoltre doveva essere presentata entro il 15 gennaio, insieme alla documentazione giuridica e sanitaria di ciascun caso. Per metterla insieme i richiedenti hanno avuto poco più di due settimane. «È evidente che le vittime e loro familiari difficilmente possono disporre di uffici legali e tecnico-amministrativi in grado di ottemperare tempestivamente ad adempimenti così complessi e in un contesto di gravi sofferenze e lutti» spiega Daniele Marra, legale dell’associazione. Per un colosso come Fincantieri invece è una procedura di routine. Per fare chiarezza su un’iniziativa quantomeno singolare ora Crudeli annuncia una richiesta di accesso agli atti contro l’Inail. «Vogliamo sapere quante domande di indennizzo sono arrivate dai lavoratori e quante dalle aziende». L’obiettivo è scoprire chi metterà le mani sul fondo per le vittime dell’amianto. L’Istituto ha trenta giorni per rispondere.