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America oggi: il voto è un diritto, ma solo dei bianchi di destra

America oggi: il voto è un diritto, ma solo dei bianchi di destraettori in fila al seggio nel Martin Luther King Jr. Recreation Centers di Yuma, in Arizona – Getty Images

Midterm 2022 In Arizona vivono 290.000 nativi americani dei 6 milioni in tutta la nazione. Ma solo il 60% di loro può eleggere i suoi rappresentanti

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 9 novembre 2022

I Dei circa sei milioni e mezzo di nativi americani, 290.000 vivono in Arizona, membri di 22 tribù compresi Hopi, Navajo ed Apache. Due anni fa i loro voti hanno contribuito a consegnare lo stato tradizionalmente repubblicano a Joe Biden. Ma solo il 60% degli indiani esercitano il diritto di voto conquistato solo nel 1964. Ed il governo repubblicano dello stato si adopera affinché l’affluenza alle urne delle popolazioni tribali rimanga più marginale possibile. A questo scopo sono stati ridotti i seggi sulle riserve e squalificate per il riconoscimento carte di identità tribali. Era eloquente un cartellone esposto recentemente a Phoenix: «Avete preso le nostre terre ed i nostri figli. Ora volete privarci del voto?».

L’INIBIZIONE del voto dei nativi è emblematico di quanto la limitazione e la soppressione del diritto di voto – soprattutto delle minoranze etniche -rimanga una dinamica rilevante nelle elezioni americane. Il fenomeno risale alla liberazione degli schiavi, dopo la quale gli stati segregazionisti istituirono subito una serie di arbitrarie norme, compresi esami di alfabetizzazione e gabelle, per sopprimere la voce politica degli afroamericani e proteggere l’egemonia politica bianca. Sistemi analoghi vennero impiegati per reprimere le rinnovate rivendicazioni dei neri dopo la seconda guerra mondiale e solo con il Voting Rights Act ottenuto da Martin Luther King e promulgato da Lyndon Johnson nel 1965 – cento anni dopo la liberazione – gli afroamericani ebbero il suffragio per cui si era combattuta la guerra civile.

Il disenfranchisement rimane tuttavia uno strumento diffuso per pilotare risultati elettorali ed equilibri politici, soprattutto dopo una serie di recenti sentenze della Corte suprema che hanno indebolito le protezioni del diritto al voto, restituendo agli stessi piene facoltà di porre in autonomia le norme elettorali. In un contesto in cui le minoranze nere, ispaniche ed asiatiche esprimono preferenze marcatamente democratiche, queste conservano connotazioni chiaramente razziali, soprattutto in molti stati del Sud.
Il mese scorso sono circolati una serie di video registrati dalle telecamere d’ordinanza della polizia della Florida. In ognuno agenti bussavano all’alba alle abitazioni di cittadini – tutti di colore – annunciando un mandato di arresto prima di ammanettare gli stupefatti malcapitati in pigiama o che uscivano di casa per andare al lavoro. Il reato contestato ad ognuno dalla neonata task force sull’”integrità elettorale” istituita dal governatore reazionario Ron De Santis, era di avere votato pur avendo precedenti penali, un atto illegale in almeno nove stati in cui i pregiudicati, sproporzionatamente di colore, perdono per sempre il diritto al voto. In Florida per la verità un referendum popolare del 2018 aveva ripristinato il diritto di votare a condanna scontata. Ma dato che ogni stato ha discrezione sulle norme elettorali, il governatore aveva reintrodotto l’obbligo di pagare una penale prima di poter votare. L’arresto plateale dei cittadini che avevano innocentemente infranto la regola è stato un messaggio calcolato per inibire una popolazione già storicamente abituata all’intimidazione.

I CASI HANNO RIPROPOSTO un rapporto conflittuale con il processo democratico impensabile in altre democrazie mature, che non solo sussiste ma di recente è stato assunto a strumento principale dal partito di Trump che ha fatto dei «vasti brogli» un elemento principale della propria narrazione e la giustificazione per misure correttive di un fenomeno inesistente. In molti stati ad amministrazione repubblicana sono così state introdotte misure di soppressione del voto avversario. Uno studio della Leadership Conference on Civil Rights ha rilevato nel solo Texas, uno stato col 39% di popolazione ispanica e 12% di neri, la chiusura di 750 seggi, concentrata in collegi a maggioranza democratica. Un’operazione analoga è stata intrapresa in Georgia, uno stato determinate per il controllo del Senato.

In entrambi gli stati la soppressione avviene anche tramite l’aggiornamento delle liste di voto e la rimozione dalle stesse di elettori «non attivi». È consentito a chiunque segnalare alle autorità nominativi «sospetti», e lo hanno fatto centinaia di adepti del complottismo sui «milioni di voti illegali» e sugli immigrati clandestini «portati a votare in appositi convogli».
L’ultima componente del piano repubblicano per la soppressione strategica riguarda il voto anticipato e per corrispondenza, modalità dichiarate costituzionali e molto incrementate dopo la pandemia (oltre 40 milioni di Americani avevano votato prima di ieri). Malgrado questo, il Gop ha già presentato ricorsi in stati strategici, contestando la legittimità delle schede spedite in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania.

UNA SITUAZIONE CAOTICA che, nelle parole di Bill Gates, responsabile dell’ufficio elettorale di Phoenix «accentuerà nel mondo la preoccupazione che vi sia qualcosa di seriamente incrinato nella nostra democratica repubblica».

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