Ambiente e disuguaglianze, la politica del gambero
I governi europei, siano coalizioni di centro-sinistra, centro, centro-destra, nettamente conservatori o nazionalisti, hanno un tratto in comune: si muovono entro i vincoli imposti dagli interessi economici, finanziari, politico-militari del blocco di potere dominante nell’area euro-atlantica e oltre. Questa pesante subalternità è ben evidente nel fatto che la loro azione, con poche varianti, è di mera compensazione a valle dei problemi. Comune e ricorrente è la rinuncia a correggere a monte le contraddizioni e squilibri di sistema che hanno provocato quei problemi e continuano ad aggravarli.
Il più incombente e minaccioso di essi è costituito dal riscaldamento climatico provocato dall’emissione di gas serra di origine antropica. Oggi siamo già a più 1,2° C e l’impegno tassativo è di non superare 1,5° entro i prossimi otto anni per non superare la soglia di non ritorno di 2° nel 2050, oltre la quale il riscaldamento globale diverrebbe incontrollabile.
Per fermare la catastrofe sono necessari mutamenti radicali nelle fonti di energia (con deciso passaggio dalle fossili alle rinnovabili), nelle tipologie produttive (agricole, industriali, terziarie), nonché nei sistemi di vita (abitativo, dei trasporti, comunicazioni, consumi).
Si tratta di mutamenti che incidono sugli interessi e modi di funzionamento del sistema economico-sociale dominante. Ma, a fronte della loro urgenza, i governi subalterni a tali interessi arretrano, dilazionano, prospettano provvedimenti affatto insufficienti se non diversivi.
L’ultimo esempio è l’indicazione, venuta dalla Commissione europea e caldeggiata da Francia, Italia ed altri, di considerare strumenti utili alla “transizione ecologica” l’uso di gas naturali o addirittura un rinnovato impiego di centrali nucleari.
Altri squilibri, pure insostenibili, come quello demografico tra le società più affluenti del Nord del Mondo e le grandi plaghe povere del Sud continuano ad essere ammessi solo a parole, ma senza serie iniziative per porvi rimedio. Eppure il vorticoso aumento della popolazione mondiale si sta concentrando nei Paesi più poveri fino al punto che in essi si assommerà il 97% del totale della crescita demografica previsto entro il 2050: una vera e propria esplosione dalle conseguenze imprevedibili.
Gravemente sottovalutati sono anche i perniciosi effetti del continuo allargamento a forbice delle diseguaglianze sociali, sia quelle tra i paesi più ricchi e più poveri, sia all’interno degli uni e degli altri. Anche in questo caso l’incapacità e non volontà d’intervenire condanna gli stessi Paesi più sviluppati ad una instabilità economica e difficoltà sociali ingravescenti; mentre in quelli meno o poco sviluppati vengono a mancare le condizioni minime di sussistenza.
Perfino la pandemia non è servita a correggere questa subalternità ed impotenza di governo. I Paesi dell’Europa occidentale e gli Usa hanno continuato ad obbedire alla logica privatista e neoliberista imperante, anzi vi si sono come rinchiusi, trascurando quanto avveniva nel resto del mondo, salvo scontare l’effetto boomerang del diffondersi incontrollato del virus, con le conseguenti varianti.
È del tutto chiaro che con tale subordinazione e miopia politica non c’è futuro. Ed è questo il limite di fondo delle politiche prevalenti nei Paesi tardo capitalisti. Al contrario, governare significa costruire il futuro di una società, aprire alle trasformazioni che ne garantiscono l’evoluzione.
Se questa soggezione e riduzione della politica la rende incapace di affrontare problemi incombenti e ineludibili, allora (come altre volte nella storia) diventa compito delle forze sociali e politiche che aspirano al cambiamento interpretare la necessità primaria di costruzione del futuro.
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