Nel 2023 il Consiglio dei Ministri francese ha disposto lo scioglimento del collettivo Soulèvements de la terre, movimento trasversale di attivisti per l’ambiente, agricoltori, comuni cittadini, sotto accusa per i disordini verificatisi nel corso delle loro manifestazioni, in particolare dopo gli scontri tra manifestanti e polizia durante una due giorni organizzata contro la costruzione di mega-bacini idrici. All’inizio dell’anno in Spagna 22 membri dell’organizzazione Futuro vegetal, responsabili di azioni dimostrative tra cui il lancio di vernice su edifici e opere d’arte , sono stati arrestati. In Italia attivisti di Extinction Rebellion e Ultima Generazione hanno accumulato una pletora spropositata di provvedimenti di carattere penale, amministrativo ed economico: fogli di via, restrizioni della libertà personale, multe salate per manifestazioni non autorizzate, blocchi stradali e imbrattamenti temporanei. Con l’intensificarsi delle azioni contro il cambiamento climatico e il degrado ambientale, in Europa si è alzato il livello della repressione nei confronti di queste proteste, sia a livello individuale che collettivo. A dirlo non sono solo gli attivisti ma l’Onu stessa, che per la difesa di chi in alcuni casi rischia anche la vita, ha istituito nel 2022 la figura di un garante nell’ambito della Convenzione di Aahrus, che si occupa della partecipazione, l’informazione e l’accesso alla giustizia in materia ambientale.

Michel Forst gira il mondo con l’obiettivo di raccogliere informazioni sulle forme di attivismo ambientale e sulla risposta governativa al dissenso e negli ultimi tempi si è occupato in particolare di quello che sta avvenendo nei paesi europei.

C’è una preoccupazione speciale delle Nazioni Unite riguardo al trattamento dell’attivismo ambientale?
Sì, in tutto il mondo chi si mobilita per l’ambiente è fra i soggetti più a rischio di essere ostacolati, attaccati e persino uccisi. Da quando ho assunto il ruolo di relatore speciale delle Nazioni Unite ho viaggiato in molti paesi diversi, soprattutto in Europa, e ho visto e sentito che i difensori dell’ambiente stanno affrontando una dura repressione. In molti paesi il loro diritto – e il diritto di ogni persona – di protestare pacificamente per l’ambiente e contro il cambiamento climatico è gravemente a rischio

Nel corso della sua missione ha più volte denunciato l’aumento dell’uso della repressione per mettere a tacere la protesta sulle questioni ambientali e sul cambiamento climatico in Europa: in che modo avviene questa repressione?
La repressione viene esercitata a diversi livelli. Nei discorsi dei funzionari pubblici, anche di peso come i ministri, i difensori dell’ambiente che protestano e che usano la disobbedienza civile vengono dipinti come criminali o terroristi. Tali discorsi vengono utilizzati come base per giustificare leggi e politiche che limitano ulteriormente i diritti fondamentali, compreso in particolare il diritto di protestare. Questo è il secondo livello di repressione. Poi, ovviamente, il terzo livello è la repressione attraverso le forze dell’ordine. Si verificano molti abusi prima e durante le proteste, con arresti di manifestanti senza alcun motivo ragionevole, con brutalità e violenze da parte della polizia durante le manifestazioni o la custodia; ai manifestanti vengono applicate estese misure di sorveglianza, con accuse sproporzionate: ad esempio, quando un attivista che ha partecipato ad un blocco stradale è accusato di «aver messo in pericolo la vita altrui», che costituisce un reato gravissimo, invece che di semplice «ostruzione del traffico». In Germania undici attivisti di Ultima Generazione hanno subito una perquisizione nelle loro case e sono indagati per aver costituito una «organizzazione criminale», mentre non hanno fatto altro che svolgere proteste pacifiche. E infine, a livello giudiziario, assistiamo anche a forme di repressione attraverso il ricorso alla carcerazione preventiva o alla cauzione condizioni, come le targhette elettroniche alle caviglie e il coprifuoco, per impedire ai difensori dell’ambiente di protestare o semplicemente di essere attivisti. In alcuni paesi ci sono anche sentenze molto dure pronunciate dai tribunali, con ad esempio 3 anni di reclusione nel Regno Unito inflitti a due attivisti di Just Stop Oil per aver bloccato un ponte a Londra.

Può farci esempi di tattiche di repressione particolarmente preoccupanti?
La combinazione di tutti questi livelli di repressione sortisce conseguenze pesanti e purtroppo ci sono molti esempi preoccupanti. L’uso della cosiddetta «presa dolorosa» da parte degli agenti di polizia in Germania, ad esempio, è davvero grave, si possono vedere manifestanti pacifici di tutte le età che vengono portati via dagli agenti di polizia che usano questa tecnica estremamente brutale facendoli urlare dal dolore. Oppure nel Regno Unito, ci sono leggi che rendono alcune forme di protesta del tutto illegali, o che consentono alla polizia di vietare le proteste «rumorose». In Spagna, la polizia si è infiltrata anche in alcuni movimenti per il clima. O in Italia, dove gli attivisti sono stati banditi dalle città perché avevano preso parte a una protesta pacifica. Considero questo un problema reale e serio.

Dove pensa che la situazione sia particolarmente critica?
I paesi tendono a replicare le cattive pratiche degli altri, ecco perché dobbiamo pronunciarci chiaramente contro questa tendenza e ricordare a tutti i loro obblighi internazionali, ai sensi della Convenzione di Aarhus e dei trattati internazionali, come il Patto internazionale sulle questioni civili e politiche. Diritti che stabiliscono gli standard dei diritti umani che gli stati devono rispettare. Dobbiamo individuare e segnalaree anche i segnali positivi, come nel Regno unito, dove 750 avvocati inglesi si sono rifiutati di perseguire chi protesta pacificamente.

Dal suo punto di vista i mezzi d’informazione stanno contribuendo a gettare discredito sui difensori dell’ambiente?
I media svolgono un ruolo importante. In molti casi contribuiscono a diffondere la retorica che presenta gli attivisti ambientali come criminali e non come manifestanti pacifici, e non forniscono alcuna analisi delle ragioni della protesta. Concentrandosi sul disagio che una protesta può causare, piuttosto che sul motivo di questa protesta, contribuiscono a diffondere l’idea che le proteste ambientaliste sono illegittime. Naturalmente ci sono anche testate e canali che fanno un’informazione di ottimo livello, e bisogna riconoscerli. Fornire un contesto alle proteste, comprese le azioni di disobbedienza civile, ma anche dare più voce agli attivisti ambientali per spiegare perché fanno quello che fanno: questo è un passo importante verso il ruolo positivo che anche l’informazione può svolgere.