Pochissime ore prima di essere ammazzato, era il pomeriggio del 1° novembre 1975, Pier Paolo Pasolini rilasciò un’intervista a Furio Colombo di cui concepì anche il titolo: «Siamo tutti in pericolo». Parole che sarebbero rimaste scolpite nella memoria collettiva proprio per la loro allure profetica. Per questo danno il titolo al numero 66-67 di «Alternative per il Socialismo» (Castelvecchi, pp. 276, euro 15). «È piuttosto un’attualizzazione», precisa nell’editoriale Alfonso Gianni, che proprio da questo fascicolo rileva da Fausto Bertinotti la guida del trimestrale fondato nella primavera del 2007 quando la sinistra radicale di questo paese aveva la forza di aprire spazi per l’elaborazione di una nuova teoria a disposizione di ciò che era cresciuto «nel cammino della rifondazione», «nel nuovo rapporto costruito con e nei movimenti», come si leggeva in calce al primo volume.

TORNANDO A PASOLINI, «quelle sue parole, per quanto riferite a ben altro contesto, dopo quasi cinquant’anni descrivono meglio di molte altre lo stato d’animo diffuso – scrive Alfonso Gianni – e la condizione reale in cui siamo immersi. Come se la capacità che fu propria di Pasolini, la sua cifra in vita, di sentire il deteriorarsi delle cose e dei rapporti umani intorno a sé, di percepire con la ragione, di più, di avere il senso della inesorabile costruzione di un “ordine basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere”, fosse stato proiettato in un tempo a lui futuro che coincide con il nostro presente.
Siamo stretti in una morsa di eventi precipitati in rapida successione, senza soluzione di continuità, o addirittura contemporaneamente, che rende incerti, foschi, pericolosi i tempi, anche quelli prossimi che abbiamo di fronte. Alla grande crisi economico-finanziaria si è aggiunta la pandemia del Covid. Alla guerra, o meglio alle tante guerre dimenticate, si sovrappone il pericolo sempre più assillante di un conflitto nucleare megadistruttivo. E nessuno di questi novelli cavalieri dell’Apocalisse è stato ancora vinto e neppure disarcionato».

A DETERMINARE LA SCENA, ora, è il caos geopolitico con il suo combinato di crisi e il loro portato di incertezza. L’economia del disastro accorcia gli intervalli tra una crisi e l’altra fino a produrre un senso comune di ineluttabilità della catastrofe. L’aut-aut storico tra socialismo e catastrofe è ben presente nell’impostazione della rivista fin dalla prima enunciazione programmatica e il sommario di questo numero ne restituisce l’ampio spettro di piste da seguire (segnaliamo, solo per citare, il sentiero critico di letture sulla guerra in Ucraina scritto da Tommaso Di Francesco su queste pagine, il punto sulla Cina a cura di Simone Pieranni o, ancora, Bianca Pomeranzi sulla rivolta delle donne in Iran).

Permacrisis, contrazione di permanent crisis, non a caso, è la «parola dell’anno» per il 2022 del Collins Dictionary, come segnala il corposo intervento di Bertinotti che avverte: «Anche l’avversario politico va studiato di nuovo», introducendo nel puzzle dell’incertezza anche «il vento di destra che diventa prepotente dove è scomparsa la sinistra», ossia il nuovo quadro politico che chiude i conti con il lungo dopoguerra italiano in stretta relazione con il caos geopolitico richiamato sopra. Per cui non è più «una citazione di un lontano passato, è la destra contemporanea, lungo un filo che connette (…) tutte le destre in occidente, dagli Usa al Brasile, arrivando all’Est europeo».

TUTTO CIÒ mentre per la prima volta l’Italia è senza una sinistra politica protagonista della sua storia. «È l’altra faccia del nuovo ciclo, l’altra, dura novità», si legge seguendo la traccia indicata dall’ex segretario di Rifondazione, peraltro piuttosto scettico rispetto alla piega degli eventi in casa Pd dove il rinnovamento si sta consumando senza ricerca teorica e partecipata.
E, in assenza della sinistra politica, il problema dell’opposizione è di non facile soluzione. Il rischio – piegandosi alla narrazione della permacrisis è proprio quello di espellere l’utopia, l’umano imprevisto, l’attesa partecipe di un altro mondo possibile. «Ma se si cominciasse da un momento di rottura con l’attuale cattiva pratica che subisce il pessimo corso del processo in atto?», si domanda, anzi domanda Bertinotti ai lettori. Come dire, lottare si può, come dimostrano le cronache francesi e dal Regno Unito.