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All’ombra del muro israeliano, il Natale silenzioso dei cristiani di Aboud

All’ombra del muro israeliano, il Natale silenzioso dei cristiani di AboudIl villaggio di Aboud e il sito di Santa Barbara – Michele Giorgio

Natale in Cisgiordania Per i circa 3500 abitanti di questo villaggio palestinese, il Natale è religioso e intimo, meno colorato e commerciale di quello di Betlemme. Pesano anche i 166 palestinesi uccisi dall'esercito israeliano nel 2022

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 24 dicembre 2022
Michele GiorgioABOUD (RAMALLAH)

Il crepuscolo nei giorni limpidi senza nuvole porta le luci dell’aeroporto Tel Aviv fino al villaggio palestinese di Aboud, in Cisgiordania. Più avanti c’è il mare che si fonde con il cielo. «Il mare è così vicino eppure tanto lontano per noi, irraggiungibile» ci dice qualcuno mentre guardiamo l’ultimo scorcio del tramonto dalla collinetta di Santa Barbara. «A separarci è quella barriera» aggiunge indicandoci il serpente di cemento amato e recinzioni costruito da Israele che zigzagando corre ad ovest del villaggio. In pochi attimi ci si rende conto di come questa porzione di Cisgiordania fertile e rigogliosa abbia perduto gran parte della sua bellezza a causa del Muro di separazione che preme su Aboud. Sulla collina i ruderi della cappella di Santa Barbara del V-VI secolo accrescono la tristezza. Nel maggio del 2002, nel pieno della seconda Intifada, per «ragioni di sicurezza» l’esercito israeliano trasformò l’antico sito religioso in macerie. Poi, scusandosi, spiegò la sua azione come un «errore». Gli abitanti cristiani di Aboud, in buona parte di rito ortodosso, ogni anno il 17 dicembre salgono fin qui in pellegrinaggio per pregare Santa Barbara, non prima di aver preparato a casa, il burbara, un dolce di grano tipico della tradizione locale.

Il Natale è alle porte e nella sala delle conferenze del villaggio, con il sottofondo di canti religiosi della libanese Majda Roumi, la comunità cristiana di Aboud si prepara al periodo che per essa è il più importante dell’anno. «Le feste le passiamo in famiglia – ci dice Lina, cinquantenne attiva nel volontariato – facciamo regali ai bambini e cuciniamo qualche pietanza speciale. Ma prepariamo anche il pranzo per gli anziani poveri e, naturalmente, recitiamo le preghiere». La messa nella chiesa di Sitti Mariam, Santa Maria, è il momento più sentito. Per i circa 3500 abitanti di Aboud, il Natale è religioso e intimo, quindi meno colorato e commerciale di quello di Betlemme. Quest’anno, passata l’emergenza Covid, migliaia di turisti locali e stranieri raggiungeranno la città della natività e la Piazza della Mangiatoia dove domina e brilla un gigantesco albero di Natale. All’accensione delle luci hanno assistito 15mila persone, tra cui delegazioni internazionali, artisti e cantanti che parteciperanno alle celebrazioni.

Le feste natalizie giungono alla fine dell’anno più insanguinato dal 2006 in Cisgiordania dove, anche in questi giorni, continuano le incursioni dell’esercito in cui sono stati uccisi sino ad oggi almeno 166 palestinesi. Nello stesso periodo gli israeliani morti in attacchi armati sono stati 31. Violenze che non smorzano l’atmosfera natalizia a Betlemme ma che segnano quella ad Aboud dove appena qualche giorno fa spari di soldati hanno ucciso un adolescente del villaggio vicino di Beit Rima. Il ragazzo aveva lanciato pietre alle automobili di passaggio dei coloni israeliani. «I militari, quando i giovani lanciano sassi (alle auto israeliane) sparano e poi chiudono le strade che ci collegano a Beit Rima e ad altri villaggi. Così restiamo bloccati», ci riferisce ancora Lina ricordando che Aboud ha perduto 600 ettari di terre fertili a causa della costruzione del Muro. «Le autorità israeliane dopo il 2002 hanno confiscato i terreni e i frutteti di tanti abitanti, cristiani e musulmani» racconta «protestammo pacificamente per lungo tempo. Provammo a far intervenire anche le istituzioni religiose ma fu inutile. E oggi abbiamo una barriera imponente poco fuori le nostre case».

Per Aboud il Natale è un momento in cui si rafforzano i legami tra palestinesi cristiani e musulmani che da secoli vivono insieme in questo piccolo e antico villaggio. Qualche frizione non manca ma i rapporti sono da sempre buoni. A far visita agli amici cristiani di Aboud in questi giorni è Fidaa Abu Hamdiyyeh, chef palestinese musulmana conosciuta anche in Italia. «Non è strano vedere musulmani che partecipano alle feste cristiane e cristiani a quelle islamiche» ci spiega «la convivenza tra le due fedi è parte della storia palestinese. Apparteniamo alla stessa terra, siamo sotto lo stesso cielo. Il Natale, al di là della sua importanza religiosa, è un momento di festa, allegria, luci e colori e ne godono tutti».

Sull’unità dei palestinesi, di qualsiasi fede, insiste il vescovo ortodosso Atallah Hanna, anch’egli impegnato nei preparativi del Natale nei villaggi con comunità cristiane come Aboud. «Stiamo vivendo un momento delicato, con tante famiglie che piangono i loro morti» ci dice «verrà, mi auguro, il giorno in cui il mondo capirà che i palestinesi hanno diritto alla libertà e alla vita, come tutti gli esseri umani. Intanto al mondo intero, ad Occidente come ad Oriente, la Palestina augura buon Natale».

 

 

 

 

 

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