Allegorie distopiche sull’orlo della catastrofe
Venezia 81 «Happyend» di Neo Sora, nella sezione orizzonti
Venezia 81 «Happyend» di Neo Sora, nella sezione orizzonti
Entrare nelle distopie e nei loro dispositivi allegorici è un esercizio che può riservare sorprese. «Noi dell’est sappiamo bene come è facile controllare una società con la paura, e quanto è difficile liberarsene», diceva il regista rumeno Bogdan Muresanu al pubblico che domenica ha lungamente applaudito il suo Capodanno che non venne mai, un intreccio di piccole storie gogoliane ambientate a Bucarest nella settimana della caduta di Ceausescu. «Questo è un problema che ora dovrebbe porsi l’Occidente», ha aggiunto subito dopo, spiegando che il modello di una società «governata da un pazzo» non è affatto tramontato. «Da Trump in poi ogni storia politica si presenta con un senso di non può essere vero, di assurdità», gli faceva eco intanto il suo collega giapponese Neo Sora, regista di Happyend, un coming of age liceale di amicizie e rivolta dall’aspetto fumettistico, presentato ieri nella sezione Orizzonti. «Eppure succede, succederà», continuava.
Happyend è ambientato in un Giappone prossimo futuro sull’orlo della catastrofe mentale, appeso agli allarmi per il terremoto che arrivano sui telefonini, scrutato dalla videosorveglianza e dominato da un feroce razzismo anticoreano, tipo nostra isteria contro lo ius soli. Si scopre, ed è ancora più sorprendente, che il legame tra terremoto e razzismo anticoreano è un costante nella società giapponese fin dagli anni ‘20 quando a un grande terremoto seguirono accuse di complotti e massacri della minoranza coreana presente allora sul territorio. Scritto con un linguaggio minimale e ellittico, recitato da attori non professionisti, il film segue l’anno scolastico di due amici, Kou e Yuta: il primo diventerà politicizzato, l’altro no.
LA TRACCIA è autobiografica. Presentandosi a Venezia con una t-shirt propal contro il genocidio, il regista ha spiegato di aver chiuso il film mentre a Tokyo e a New York partecipava alle manifestazioni contro l’invio di droni e armi a Israele. È nata lì l’idea di usare il testo di una vecchia canzone pacifista anni ‘60 di Nobuyasu Okabayashi. «Eat shit, and die!». Neo, trentenne, è il figlio di Ryuchi Sakamoto,«“Anche mio padre avrebbe alzato la sua voce, n sono certo». Il film, ha una colonna sonora sofisticatissima, tra Satie, l’ambient, la techno e Sakamoto, firmata dalla compositrice Liu Ouyang Rusli.
Generazioni diverse, la stessa consapevolezza dei legami invisibili e oscuri che in questi anni avvolgono le società più lontane nel tempo e nello spazio. Muresanu, un esordio a 50 anni compiuti, ha scritto raccolte di racconti e lavorato in pubblicità, è sceneggiatore e autore di corti, uno dei nomi in vista del nuovo cinema rumeno. Particolarmente legato all’esplorazione del periodo di Ceausescu, un po’ perché la memoria svanisce in fretta e un po’ perché si tende – spiega lui – a essere nostalgici della propria adolescenza, quale che sia.
«Capodanno che non venne mai» di Bogdan Muresanu, intreccio di storie gogoliane
IL FILM moltiplica l’idea di un suo premiatissimo corto, Regalo di Natale: nella letterina a Babbo Gelo, all’epoca del socialismo, un bambino chiede di esaudire il desiderio di suo padre: che muoia zio Nicu, proprio lui. Il pover’uomo impazzito dalla paura di finire tra le grinfie della Securitate, nottetempo riempie d’acqua la buca delle lettere, sperando di aver centrato quella giusta. Il giorno dopo lo rivedremo tra gli operai portati in pullman a sentire Ceausescu in piazza nell’ultima sua rovinosa apparizione. Contemporaneamente, in uno studio della televisione di stato, registi, tecnici e funzionari devono cancellare la presentatrice dello show di capodanno già registrato, che è fuggita all’estero. Girano daccapo con un’altra attrice, obbligata a recitare il folle testo sugli auguri al padre della patria.
IL FIGLIO del regista, intanto, è in viaggio con un amico verso il Danubio che vorrebbe attraversare ma la fuga è un fallimento. E l’agente della Securitate che lo tiene d’occhio deve star vicino a sua madre, completamente folle e al limite del suicidio per essere stata cacciata dal suo vecchio quartiere demolito e spedita in un palazzone «L’assurdo è un marchio di fabbrica rumeno: l’humor nero, Ionesco sono tutte cose nostre», spiega ancora Muresanu. Dopo aver usato un’intera compilation di pop rumeno anni ‘80 (nostalgia canaglia), aggiunge di aver trovato una perfetta descrizione dell’intreccio nel Bolero di Ravel, suonato praticamente per intero nel finale. Magari un po’ facile ma di sicuro effetto. Il film unisce una bella scrittura teatrale, bravi attori seguiti dalla camera in movimento, e una ricostruzione decente di automobili e oggetti d’epoca.
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