All’egemonia culturale della destra, non si risponde con la sinistra divisa
Sinistra A Macerata commercianti e cittadini sono stati costretti a «difendersi» da manifestanti pacifici che parlavano dei valori traditi, di solidarietà uguaglianza, convivenza
Sinistra A Macerata commercianti e cittadini sono stati costretti a «difendersi» da manifestanti pacifici che parlavano dei valori traditi, di solidarietà uguaglianza, convivenza
C’è uno iato sempre più profondo tra le istanze di sinistra e le politiche, o i partiti, che le rappresentano. Una de-formazione in base al quale valori positivi (solidarietà, cooperazione, convivenza) si traducono, nella politica dei partiti, nel loro rovescio.
Toccherebbe proprio alla politica rinforzare questi sentimenti anziché risaltarne il loro lato oscuro, ma così non è. Questo è successo, per esempio, ma non solo, a Macerata dove commercianti e cittadini sono stati costretti a «difendersi» da manifestanti pacifici che riproponevano proprio questi valori traditi
C’è da chiedersi allora quale meccanismo interviene a livello di massa per trasformare questi sentimenti di umana convivenza nel loro opposto: odio, competizione selvaggia, difesa dei propri (pur minimi) privilegi e, infine, razzismo che pure, purtroppo, affondano nel profondo della tradizione occidentale.
Occorre partire riconoscendo che la cultura della destra è diventata, in poco tempo, praticamente egemone, ovvero che prevale, a livello di «popolo», il cattivo senso comune dei dominanti e le loro ciniche parole d’ordine. Tanto che bisogna aspettare i discorsi di Papa Francesco per «riscoprire» il valore di antiche parole un tempo appartenenti al linguaggio della sinistra.
Queste parole (uguaglianza, solidarietà, vivere insieme), seppur sempre «viventi» nell’animo delle persone, non riescono a tradursi in obiettivi politici; hanno perso di efficacia, sono state ridotte a simulacri di se stesse, accusate di un ridicolo conservatorismo (la Resistenza, la Costituzione), e ad uso esclusivo di anime belle, minoranze afone in un deserto di socialità. Le generazioni giovani (che sempre sono state depositarie di istanze di cambiamento per una società più giusta e più equa) si tengono alla larga dalla politica e praticano in solitudine (di gruppi, di associazioni) esperienze minoritarie dove ancora vigono valori di sinistra, guardandosi bene, però, dal militare in alcun partito tradizionale (della sinistra).
La politica è la prima responsabile di questa deformazione del linguaggio. Tommaso Moro, il padre moderno del concetto di utopia, sosteneva che compito del monarca, di cui era consigliere, era quello di svolgere una funzione pedagogica al servizio di una finalità politico-culturale. Ovvero promuovere come scopo ultimo del governo, il vivere insieme, un abitare la città nella giustizia, nell’uguaglianza e nel rispetto al diritto di vita, nella democrazia.
La politica, tutta la politica, ha abbandonato questa sua funzione pedagogica per potere, calcolo elettorale, e, anzi, spesso fomenta e diffonde un messaggio dis-educante: quello della competizione, dell’individualismo, della difesa dei benefici conquistati (da pochi). Perché la politica, tutta la politica, si è fatta complice del potere economico e anziché contrastare i suoi eccessi ne legittima l’abuso.
Un gigantesco processo di de-formazione che ha origini lontane e che oggi ha subito una forte accelerazione. E non serve a dimostrare il contrario, lo sbandierare inutilmente parole di sinistra che non fanno più alcun effetto sulle persone e che sono anzi quasi controproducenti. I gruppi dominanti ci convincono (e ci persuadono) che è utopica ogni proposta di cambiamento che va nel senso di una maggiore giustizia, democrazia, uguaglianza, pace, fraternità, libertà condivisa, e considerano «realiste» (anzi le sole possibili) le proposte e le scelte operate da loro stessi.
Come possiamo capovolgere questa idea dei dominanti, che è accettata (o subita) dalla gran parte delle persone? Bisogna ricordare che non sempre le idee migliori e complesse prevalgono su quelle semplificate e sbagliate, come dimostrò il banchiere inglese Gresham (secondo il quale la moneta cattiva scaccia quella buona ).
Ci attende un lavoro di ricostruzione culturale e politica ancora più grande di quello che fecero i nostri padri costituenti all’epoca dell’uscita dal secondo conflitto mondiale. Un lavoro di decostruzione del linguaggio dominante, dei falsi miti moderni come competizione e individualismo. Per questo è inutile e anzi dannoso sollevare steccati tra le nascenti formazioni politiche (LeU, Potere al Popolo, quelli del Brancaccio) che tentano di attualizzare quei valori smarriti dalla sinistra: la storia non è ancora finita.
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