Immaginate 128 milioni di potenziali elettori, in un Paese da 241 milioni di abitanti di cui il 40% analfabeta, che devono eleggere da una parte 266 membri di un Parlamento da 342 seggi totali (70 seggi sono riservati), scegliendoli tra più di 5.000 candidati, dall’altra i rappresentanti di quattro assemblee provinciali, tra più di 12.000 candidati. Immaginate che debbano farlo recandosi in uno delle migliaia di seggi elettorali distribuiti in un Paese immenso.

IMMAGINATE POI che il giorno delle elezioni, appena prima dell’apertura dei seggi, vengano interrotte tutte le comunicazioni sui telefoni, incluso internet. Quel che avete immaginato non è la trama di un romanzo di fantapolitica, ma ciò che è accaduto ieri in Pakistan.
L’interruzione delle comunicazioni è stata annunciata dal ministero degli Interni e giustificata come necessaria «per mantenere l’ordine pubblico e affrontare eventuali minacce» terroristiche, anche alla luce degli attentati della vigilia, nella provincia del Belucistan. Dove due esplosioni, poi rivendicate dalla branca locale dello Stato islamico, hanno provocato almeno 28 vittime. Ma anche le precedenti elezioni, inclusa quella che nel 2018 aveva portato alla vittoria dell’ex giocatore di cricket Imran Khan e del suo partito Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti), erano state anticipate e contrassegnate da attentati e minacce, senza che questo portasse allo stop di internet.

PER L’ATTUALE PRIMO MINISTRO a interim Anwaar-ul-Haq Kakar, burocrate messo alla guida del governo che ha sostituito quello di Imran Khan destituito con un voto di sfiducia nell’aprile 2022, la giornata elettorale è stata comunque buona, l’affluenza alta – i primi numeri arriveranno oggi . e «le voci, espresse attraverso il voto, contribuiranno a fortificare la nostra democrazia». Per molti altri, però, il voto, già compromesso dalla repressione verso il partito di Imran Khan, a cui è stato negato perfino l’uso del simbolo elettorale e i cui candidati si sono dovuti presentare come indipendenti, è stato tutt’altro che democratico. Per Livia Saccardi, vicedirettrice a interim per l’Asia meridionale di Amnesty International, la decisione «è un attacco senza mezzi termini ai diritti di libertà di espressione e di riunione pacifica. È sconsiderato impedire l’accesso alle informazioni mentre la gente si reca ai seggi elettorali, sulla scia di devastanti esplosioni di bombe e di un’intensa repressione dell’opposizione nel periodo precedente le elezioni».

ANCORA PIÙ DURE LE CONDANNE degli esponenti del Pti, che attribuiscono l’interruzione delle comunicazioni a un «regime illegittimo e fascista». Da parte sua Bilawal Bhutto Zardari, leader del Pakistan People’s Party e aspirante primo ministro, ha fatto appello alla magistratura e alla Commissione elettorale, il cui responsabile, Sikandar Sultan, ha però dichiarato che la decisione dipende dalle agenzie di sicurezza. Quell’esercito che, a 76 anni dall’indipendenza del Pakistan, continua a dettare le regole del gioco. Un gioco senza ombre, trasparente, secondo il favorito, Nawaz Sharif, leader della Pakistan Muslim League-Nawaz. Tanto sicuro della sua forza (i maligni dicono dell’appoggio dei militari), da aver dichiarato di puntare a una vittoria a mani basse. Così da evitare un governo di coalizione, che però rimane lo scenario più probabile, oltre che la soluzione migliore per l’esercito, che potrebbe più facilmente controllare l’agone politico.

Da vedere cosa faranno i candidati indipendenti del Pti, il partito di Imran Khan, che dalla cella continua a gridare al complotto, dopo aver clamorosamente oltrepassato la linea rossa nei mesi scorsi nello scontro con i militari.