A Nerviano, una ventina di chilometri a nord-est di Milano, sabato 20 maggio il dottor Emanuele Cerminara ha chiuso il suo studio di medicina generale. Il 31 cessa l’attività anche quello del collega Alberto Toniolo per raggiunta pensione. Finora non si sono trovati sostituti e molti medici di famiglia del circondario hanno già raggiunto la soglia massima di assistiti.

Al Comune non è rimasto che aprire un ambulatorio temporaneo nell’ex-municipio per le centinaia di persone rimaste senza dottore, tra cui molti anziani. Stessa situazione a Legnano, a Rho, a Pavia. Notizie come questa arrivano quasi ogni giorno dalla Lombardia e da altre regioni in cui i medici di medicina generale scarseggiano. Anche per questo i pazienti finiscono per rivolgersi al pronto soccorso anche per patologie non urgenti o alla sanità privata. Oppure rinunciano del tutto a curarsi.

A STIMARE la dimensione del fenomeno ci ha pensato la Fondazione Gimbe sulla base dei dati dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (Agenas). Secondo un rapporto pubblicato ieri, in Italia mancano 2.900 medici di famiglia e entro il 2025 se ne perderanno altri 3.400, tenendo conto dei pensionamenti e dei nuovi professionisti in formazione. Mille posti vacanti sono nella sola Lombardia, 482 in Veneto, 349 in Campania, 320 in Emilia-Romagna.

In più, nuove regioni entreranno in emergenza negli anni a venire. Vedranno sparire i loro medici di famiglia la Sicilia (-542 di qui al 2025), la Campania (-398) ma innanzitutto il Lazio. «Dei 5mila medici di medicina generale in servizio fino a quattro anni fa ne rimangono attualmente 4.400, il 30% dei quali andrà in pensione nei prossimi tre anni», dice Eleonora Mattia, consigliera regionale dem che in proposito a presentato una mozione al presidente-assessore Francesco Rocca (Fdi). Gli incarichi vacanti dal 2022 in regione sono 440. «Secondo il Rapporto Gimbe il Lazio nel 2025 sarà la Regione che in Italia sconterà la maggior riduzione di medici di base con 584 unità in meno».

SECONDO I DATI del ministero, il 42% dei medici assiste oltre 1500 cittadini, la soglia massima fissata per legge a cui però diverse regioni hanno dovuto derogare. In Lombardia si può arrivare fino a 1800 assistiti, in Alto-Adige addirittura a 2000, con inevitabili ricadute sull’assistenza. Secondo la Fimmg, sindacato che riunisce metà dei 40 mila medici di medicina generale, due milioni di italiani sono già privi di assistenza medica di base.

Il governo ha cercato di tamponare l’emorragia permettendo l’esercizio della professione anche ai dottori in formazione e alzando l’età pensionabile fino a 72 anni. Oltre ad essere pochi (in Francia e Germania sono oltre il doppio) i medici di famiglia italiani sono anche piuttosto anziani. Oltre il 75% ha più di 27 anni di carriera, in Calabria l’88%.

La redazione consiglia:
Oms, il diritto alla salute è in gravi condizioni

Con l’ondata di pensionamenti in arrivo, a rimpinguare l’organico non basteranno i 3.675 posti messi a bando nel 2022 – il triplo rispetto al 2020 – nei corsi regionali di formazione per i nuovi professionisti. «La progressiva carenza di MMG – spiega il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta – consegue sia ad errori di programmazione per garantire il ricambio generazionale, in particolare la mancata sincronia per bilanciare pensionamenti attesi e finanziamento delle borse di studio, sia a politiche sindacali non sempre lineari. Ed è evidente che le soluzioni “tampone” attuate dal Governo con il Decreto Milleproroghe (innalzamento dell’età pensionabile a 72 anni) e dalle Regioni (aumento del massimale) servono solo a nascondere la polvere sotto il tappeto, senza risolvere la progressiva carenza dei MMG».

LA SCARSITÀ DI MEDICI di famiglia rischia di compromettere anche il capitolo del Pnrr relativo alla realizzazione delle 1300 Case di comunità sul territorio nazionale. Le Case dovrebbero funzionare per 24 ore al giorno con la presenza permanente di più medici di medicina generale. Questo però imporrà loro di frequentare meno i loro studi privati e di effettuare orari di lavoro più lunghi. Con organici così assottigliati, trovare il personale che tenga aperte le «case» sarà un’impresa.

Non aiuta che i medici di medicina generale siano contrattualizzati come liberi professionisti, con un’autonomia difficilmente compatibile con il lavoro d’équipe delle case di comunità. Sembra infatti definitivamente decaduta l’ipotesi di porre i medici di base alle dipendenze del servizio pubblico come in Spagna e Portogallo.

La proposta è supportata solo dai sanitari più giovani e dalla Cgil (minoritaria tra i medici) ma non ha trovato un forte sostegno nemmeno da un ministro espresso dalla sinistra come Speranza. Il resto della categoria (Fimmg in testa) si è opposto alla riorganizzazione della medicina territoriale, trovando una sponda del governo Meloni. E adesso quel capitolo del Pnrr è a rischio.