Alla ricerca di un immaginario ribelle per raccontare la realtà
Venezia 74 Comincia oggi la nuova edizione del Festival, sotto il segno delle icone Robert Redford e Jane Fonda. Tra le caratteristiche di quest’anno la massiccia presenza di opere italiane
Venezia 74 Comincia oggi la nuova edizione del Festival, sotto il segno delle icone Robert Redford e Jane Fonda. Tra le caratteristiche di quest’anno la massiccia presenza di opere italiane
Che Mostra sarà la numero 74, che si apre oggi – fino al 9 settembre – sul Lido ancora assolato ma nel mirino di tempeste (per ora solo meteorologiche)? Molto è stato detto nel gioco dell’attesa (e dell’anticipazione) uguale a ogni anno per quell’appuntamento che tutti – almeno tutti gli italiani che lavorano nel cinema – non possono mancare.
Vogliamo immaginarla sotto al segno delle due splendide icone a cui quest’anno sarà consegnato il Leone d’oro alla carriera, Jane Fonda e Robert Redford – interpreti anche del film Our Souls at Night (produce Netflix non per la sala) – protagonisti di un immaginario ribelle, irriconciliato, di battaglie politiche (Jane Fonda in piazza a Campo de’Fiori, a Roma, per la legalizzazione dell’aborto nel 1972) diventate scelte di cinema – pensiamo al film di Redford, che inoltre da anni come direttore del Sundance supporta e lancia i giovani cineasti indipendenti americani, The Company You Keep, presentato qui a Venezia, sull’esperienza dei Weather Underground. E alla ricerca di un’immagine «politica», o almeno con cui raccontare il proprio tempo sembrano essere anche molti dei film italiani al Lido, una presenza massiccia che è subito anche una delle caratteristiche dell’edizione di quest’anno.
Si parla già di una Nouvelle Vague (in concorso ci sono due opere seconde – Una famiglia di Riso e Hannah di Pallaoro scoperto al Lido con Medea), un cinema che reinventi l’immaginario nel presente, che sappia soprattutto parlare della realtà. Migranti, società, emarginazione: a scorrere un po’ le storie sembra però che a parte pochi casi (penso a Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli o al sud pugliese di Edoardo Winspeare – La vita in comune ), si ruoti sempre intorno alla stessa rappresentazione, Suburra o Gomorra, ovvero periferie romane o degrado napoletano, camorra e miseria, incazzati e disperati pronti a tutto per soldi o per fama mentre deambulano nel paesaggio di un neorealismo «alla Caligari» quarant’anni dopo. «Neotruci» li chiamano (alcuni critici). Sarà. È però davvero il solo modo per parlare di questa realtà che ormai scivola in diretta sugli schermi e non si capisce più come sfuggirle? O è invece un modo, uno dei tanti, rassicurante di rifugiarsi in codici collaudati, ben riconoscibili, pure facili – qui la grandezza di film come A Ciambra, ora in sala, o di L’intrusa di Leonardo Di Costanzo che arriverà tra qualche settimana. Staremo a vedere.
Per l’inaugurazione Barbera e il suo gruppo di lavoro hanno scelto Downsizing di Alexander Payne – autore dello struggente Paradiso amaro, con George Clooney in fantastiche camicie hawaiiane – una quasi fantascienza, pure se coi toni fiabeschi che piacciono tanto al regista, ambientata nella sua città, Omaha, Nebraska, in un futuro non specificato, quando per fare fronte ai problemi di sovrappopolazione del pianeta, gli umani vengono ridotti di taglia. Una sorta di «soluzione lillipuziana» a cui si prestano il protagonista, Matt Damon e la moglie, Kristen Wig, coppia in crisi e in cerca di risposte. Lei però all’ultimo secondo ci ripensa così lui si trova solo tra le peripezie della nuova «taglia». E questa, il film d’apertura, è la vera scommessa della Mostra, la più importante, quella che in questi ultimi anni l’ha resa vincente a livello internazionale – sì, pure sul festival di Cannes – coi suoi film che hanno conquistato gli Oscar e il mercato.
Il resto conta poco. Meglio il Lido o la Croisette? Che rispondere, la Mostra dal punto di vista del programma si prende molte più libertà – immaginate Frederick Wiseman (corre per il Leone con The New York Public Library) in concorso a Cannes dove vigono ancora le divisioni di genere, fiction e documentario? È uno dei grandi autori viventi del cinema ma Frémaux lo collocherebbe nel fuori concorso, tra le proiezioni speciali o quant’altro, è un «doc» perciò interdetto alla classe A.
Lo stesso per la questione delle sale: non è che il Palais ormai vecchiotto sia tanto meglio. Il nodo continua a essere il mercato, che a Cannes fa rimanere gli addetti ai lavori mondiali (si svuota quando chiude), permette a un film in selezione di avere davanti moltissimi compratori e poco male se il programma – come quest’anno – è modesto, alla fine la macchina appare grazie a questo, e grazie a un sistema cinema nazionale ancora piuttosto fermo, assai potente.
Da noi le cose sono un po’ diverse: intanto il «mercato» in assoluto è molto più ristretto – per rimanere su Cannes, tutti i film che vi passano arrivano nelle sale, cosa impensabile per la Mostra – diciamo pure che non funziona visti i risultati di quella che l’Anac, l’associazione degli esercenti, ha definito come «un’estate di record negativo per presenze in sala».
Molti dei film italiani saranno in sala in contemporanea alla proiezione sul Lido, altri non hanno nemmeno una distribuzione, e a parte pochi, quelli che peraltro vanno da sé – come i film di Virzì o dei Manetti Bros – con un’uscita distanziata, parecchi finiranno nella «strozzatura» di settembre passando come meteore. Non va bene, e non serve esibire decine di titoli se questa è poi la situazione, anche perché è vero che a Cannes i film sono tutti (o quasi) francesi ma la Francia coproduce e questo permette di non rimanere nel solo ambito nazionale. E un immaginario per essere «vivo» ha bisogno di far scorrere molte energie diverse.
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