Visioni

Alla corte dei Trump

Alla corte dei TrumpIvanka e Donald Trump

Ai confini della realtà A confronto con la Casa bianca sotto vuoto di Barack Obama, la nuova amministrazione è un colabrodo di soffiate, spesso pilotate dallo stesso presidente

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 15 aprile 2017

Capelli dorati, vestito dorato, sfila sinuosamente sotto gli sguardi ammirati di tutti in una stanza piena di candele. È Scarlett Johansson. Anzi, Ivanka Trump nel magnifico sketch di «Saturday Night Live» fatto come lo spot di un profumo. La fragranza della figlia del presidente, ci dice la voce vellutata, si chiama….. Complice. «Femminista, attivista, paladina delle donne», continua, citando la descrizione di Ivanka sul suo website, per poi tornare al copy affilato di SNL: «Sa quello che vuole e sa quello che fa….Perché Complice è il profumo per la donna che potrebbe fermare tutto quello che sta succedendo. Ma che non lo farà». Complice, chiude lo sketch, «è disponibile anche in versione colonia, per Jared».

Complici/ spettatori silenziosi, come due statue di Madame Tusseaud, dell’ascesa trumpista nei suoi momenti più coloriti (grab them by the pussy, lock her up, build the wall…e le folle pronta al linciaggio) Ivanka Trump e Jared Kushner stanno avendo la loro rivincita. «Complice» una stampa che, abilmente imboccata dalla Casa bianca, li ha posizionati come presenze stabilizzanti, illuminate, al fianco dell’impresentabile presidente, ogni volta che lui firma un’iniziativa contro l’ambiente, le donne, i gay, o particolarmente crudele nei confronti degli immigrati, leggiamo sui giornali che Ivanka e/o Jared hanno cercato di fermarlo; quando un’iniziativa simile non passa, dobbiamo invece ringraziare la figlia prediletta e il genero per lo scampato pericolo.

A confronto con la Casa bianca sotto vuoto di Barack Obama (ci stiamo ancora tutti chiedendo se Valerie Jarret fosse o meno il Richelieu di Barry) la corte dei Trump è un colabrodo di soffiate, spesso pilotate dallo stesso presidente, che chiama direttamente al cellulare le grosse firme del NYTimes e del Washington Post. Per un’immagine impagabile come quella di Trump in accappatoio e depresso, che si aggira per i corridoi vuoti senza sapere dove sono gli interruttori della luce, con Fox News accesa sullo sfondo, dobbiamo sorbirci siparietti vari sugli sforzi di Ivanka per domare papà e pistolotti perversamente finto femministi sul backlash contro Kelly Ann Conway e sul diritto che ha Melania di rimanere a New York (a costi grotteschi per i contribuenti). È Jared, in questi giorni, l’ultimo crociato della normalizzazione del presidente, l’eroe che, per la modica cifra di un dollaro all’anno, potrebbe liberarci dell’immondo olezzo dell’alt-right bannoniana nell’ufficio ovale. L’ex Goldman Sachs, e produttore di deliranti documentari complottistici, sarebbe infatti in disgrazia, il suo messaggio razzi-nazionali-sta messo in crisi da una fazione rivale -sempre di Dna Goldman Sachs si parla, ma che fa capo a Jared. Il NYTimes li definisce «democratici», con malcelato sollievo – inspiegabilmente, visto che Casa bianca, anche sotto il loro auspicio, sta sfornando un un’iniziativa sadica dopo l’altra ai danni degli elettori che il partito democratico protegge storicamente. Ma tutto è facciata, spin, in questo governo.

E, all’insegna dei globalisti anti Bannon comandati da Jared (post photo op in Iraq), la normalizzazione più agghiacciante è arrivata con l’intervento in Siria. Niente è più normale, presidenziale, di 59 Tomahawk. Meglio ancora, della bomba più grossa dell’arsenale, che sembra uscita da un film dei fratelli Zucker. Come nel suo discorso alla nazione letto sul teleprompter, il Trump «normale» fa più paura di quello fuori di testa. E i media si stanno facendo fregare una seconda volta.

giuliadagnolovallan@gmail.com

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