Aldrovandi, la Bologna meravigliosa di un Ulisse naturalista
A Bologna, Palazzo Poggi Basandosi soprattutto sulle incredibili novità botaniche e zoologiche originate dal Nuovo Mondo, l’umanista realizzò un moderno metodo di studio: ricerche dirette e classificazione per immagini
A Bologna, Palazzo Poggi Basandosi soprattutto sulle incredibili novità botaniche e zoologiche originate dal Nuovo Mondo, l’umanista realizzò un moderno metodo di studio: ricerche dirette e classificazione per immagini
Il bolognese Ulisse Aldrovandi, classe 1522, naturalista, botanico e titolare della prima cattedra di Scienze Naturali dell’Ateneo emiliano, è il protagonista di una mostra da poco inaugurata nelle sale di Palazzo Poggi, in via Zamboni, dove parte della straordinaria collezione dello scienziato è esposta negli imponenti saloni affrescati nel pieno Cinquecento.
L’altro Rinascimento. Ulisse Aldrovandi e le meraviglie del mondo, a cura di Giovanni Carrada, con la consulenza di Giuseppe Olmi e Davide Dominici (fino al 10 aprile; Quaderno di mostra, Bologna University Press, €, 18,00), ambisce a raccontare la sfaccettata figura di Aldrovandi e spiegare al pubblico la portata epocale del suo lavoro di naturalista.
Attratto dai viaggi e dallo studio, Ulisse si dedicò a una vasta gamma di materie, dalle lettere alla filosofia, dalla logica alla matematica, ma sarà l’incontro con il botanico Luca Ghini a segnare la svolta in direzione dell’interesse per le piante e per gli animali, e a farne in poco tempo il naturalista più famoso d’Europa.
L’esposizione si apre con una sala dedicata alla più importante scoperta del XV secolo: l’America. La portata dell’arrivo sulle coste del Nuovo Mondo non fu sensazionale solo dal punto di vista politico ed economico, ma fu un terremoto anche per gli studiosi di scienze naturali.
Abituati a studiare la natura principalmente sui testi degli antichi, considerati auctoritas insuperata, i naturalisti dovettero fare i conti con quanto veniva portato in Europa da oltreoceano, dove crescevano e prosperavano piante e animali dei quali nessuno conosceva l’esistenza. Sono così esposti sia molti dei volumi sui quali Aldrovandi si era formato, provenienti dalla sua biblioteca personale, sia diorami e impagli di animali americani che avevano costituito una sconvolgente novità per la Bologna del pieno Cinquecento.
Ma questo Nuovo Mondo era popolato anche di uomini dotati di ingegno e di una loro produzione artistica che, oggi, è quasi interamente perduta. Nel 1533, il frate domenicano Domingo de Betanzos, di ritorno da una spedizione in Messico, portò a Bologna come regalo per papa Clemente VII, allora in città per incontrare l’imperatore Carlo V, una cospicua quantità di manufatti mesoamericani, tra i quali spicca per rarità il Codice Cospi. Esso risulta essere uno dei tredici manoscritti precoloniali conservati al mondo e, dipinto con colori sgargianti su una pelle di cervo, è stato identificato come un calendario divinatorio realizzato tra il XV e i primissimi anni del XVI secolo. Non è difficile immaginare l’impatto sulla comunità bolognese di quegli anni di un manoscritto di questa foggia, nel quale le divinità, figure mostruose, sono affiancate da animali e offerte che dovevano ricevere durante particolari riti.
Al Codice Cospi si aggiunge un altro prezioso oggetto azteco, una maschera raffigurante Yacatecuhtli, il dio dei mercanti, scolpita in legno e interamente ricoperta di un mosaico di pietre preziose e conchiglie, che aveva così attratto Aldrovandi da portarlo a realizzarne una xilografia per illustrarla all’interno del suo libro sulle pietre, il Musaeum Metallicum.
È proprio questo tema delle illustrazioni librarie quello più funzionale per spiegare nel profondo la figura del fine naturalista bolognese, che oggi non sbaglieremmo a etichettare anche come ‘divulgatore’.
Dalla seconda sala della mostra, in avanti, quello che si vuole raccontare è il metodo della ricerca scientifica, il rigoroso percorso che da Aldrovandi in poi sarà conditio sine qua non per ogni studioso della natura. L’indagine comincia dall’uscita sul campo, dall’esperienza diretta di erbe e animali, non più solo quella mediata dai libri. A testimonianza di questa pratica sono esposti gli erbari di Aldrovandi, enormi libri con più di 5000 campioni di piante vere, tra le quali il primo pomodoro giunto dall’America e un tulipano asiatico, che Ulisse coltiva e diffonde. L’orto botanico di Bologna, infatti, che segue quello padovano solo di qualche anno, è frutto del suo lavoro a partire dal 1568. Alle piante si uniscono gli animali, sezionati, studiati in laboratorio, campionati, sia nelle loro condizioni normali, sia, soprattutto, in quella branca della scienza che studia le malformazioni congenite, la teratologia. E qui compaiono i ‘mostri’, come il basilisco o la chimera.
Lo studio è accompagnato dalle immagini, tracciate a penna e colorate in preziosissimi volumi nei quali ogni pagina è un’opera d’arte conclusa. Ma come trasmettere tutto questo sapere e queste scoperte? Come sfruttare il valore conoscitivo delle immagini? In un’epoca come la nostra, bombardata fino all’eccesso di documentazione fotografica, è quasi impossibile pensare di studiare su testi privi di immagini, ma nel secolo di Aldrovandi l’illustrazione libraria era ancora relativamente ridotta.
Ecco che allora comincia l’altra grande impresa del naturalista: la creazione di migliaia di matrici xilografiche atte a illustrare ogni singola pianta o animale che si andava a dibattere, al fine di corredare i volumi a stampa di un apparato di immagini che portasse i lettori quasi sul tavolo del laboratorio di Aldrovandi. Delle migliaia e migliaia di matrici fatte produrre dal naturalista, ne sopravvivono poco meno di 4000 e questi oggetti costituiscono un patrimonio, anche artistico, dal valore inestimabile.
Il grande salone centrale di Palazzo Poggi, poi, ospita, in un allestimento evocativo che vuole ricordare una stanza delle meraviglie, una parte dei poco meno di 20.000 reperti che facevano parte dell’eredità di Ulisse e tra carapaci di tartarughe, fossili, immancabili coccodrilli, conchiglie e minerali, si trova anche il registro dei visitatori della collezione bolognese, personalità provenienti da tutto il mondo che si facevano accompagnare da Aldrovandi tra i suoi tesori e le sue scoperte.
Il desiderio di divulgare, di condividere, di non disperdere questo immenso patrimonio scientifico accumulato, porta Aldrovandi a lasciare tutto al Senato di Bologna e quindi a legarlo all’Ateneo, perché fosse conservato e accresciuto. E così è stato. Da qualche anno, inoltre, un progetto interfacoltà sta riordinando, schedando e mettendo in rete questi beni del Sistema Museale di Ateneo, perché possa essere meglio fruito e messo a disposizione.
In tempi come i nostri, nei quali la scienza viene continuamente messa in discussione, una mostra come questa ne racconta le basi, la tradizione, le origini del metodo rigoroso nell’analisi della natura. Un Altro Rinascimento che ha posto le basi per tutto quello che è venuto dopo.
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