A piazza Finocchiaro Aprile, quartiere Tuscolano, Aldo aveva scoperto qualche tempo fa un pezzo goloso della sua Liguria. Una focacceria, Liguria@Home. Assicurava, Aldo, che erano pietanze squisite, cucinate a regola d’arte come dalle sue parti. Focaccia, farinata, pesto, polpettone, torta verde. Di tanto in tanto ci andava, non è proprio vicino a Testaccio, ma aveva piacere d’andarci, anche per il gusto di chiacchierare con Sybil, la cuoca, e ricordare insieme la loro Liguria, sapori, odori, personaggi, Paoli, Tenco, Endrigo, Lauzi, D’André. Tra i tantissimi ricordi che affollano i social, quello in video di Sybil è particolarmente toccante, genuino, intelligente, con la colonna sonora di Senza fine. La liguritudine era un tratto distintivo di Aldo. Aperto, simpatico, affabile, eppure riservato, schivo, come i suoi conterranei. Nella sua Imperia, la città di Alessandro Natta, a cui dedicò un bel libro, sarebbe tornato volentieri a vivere, al tempo stesso per nessuna ragione avrebbe lasciato Testaccio, il suo appartamento molto vissuto, un tesoro di libri, video, cd, ricordi.

Ligure e testaccino. D’altra parte Aldo era una persona eclettica da ogni punto di vista. Era un “meticcio”, per usare un termine che spesso ripeteva recentemente, a proposito della sua idea di sinistra. Un meticciato in cui ogni parte era intensamente vissuta – Cuba, il cinema di Bergman, Sanremo, il manifesto, Lucio Magri, il comunismo, la socialdemocrazia nordeuropea, Castro e Brandt e Palme – ed era intelligentemente collegata con le altre parti. Ironico e autoironico, ma con una buona considerazione di se stesso, ogni volta che pubblicava un articolo e aveva gli elogi che meritava, commentava, facendo il verso a Lucio Magri: «Eh, con la testa che mi ritrovo».

Disincantato ma anche passionale, affabile ma anche graffiante, le sue straordinarie imitazioni – di Magri, Pintor, Ingrao, Bertinotti e altri della sinistra – denotavano una notevole e profonda perspicacia nel cogliere tic e tratti salienti delle persone. Così come l’attenzione ad aspetti solo apparentemente secondari nella storia dei comunisti italiani, come la polemica di Amendola con la «sinistra tennista», gli ingraiani snob secondo la vulgata della «destra» comunista.

Sì, una bella testa, si ritrovava Aldo, mobile, anticonformista, la testa di una persona molto colta, molto professionale in tutto quel che faceva – articoli, libri, interventi – col gusto di spiazzare amici e compagni ed estimatori, prendendo posizioni scomode e controcorrente. È stato perfino «renziano», per un breve periodo, un po’ sul serio, un po’ per scherzo. Cosa ci trovava in Renzi? La rottamazione di comode rendite di posizione, di coazioni a ripetere, di indolenti ideologismi e settarismi, di cliché. Ma soprattutto, era un modo per provocare, scuotere, i compagni, e poi riderci sopra. Ovvio, un flirt passeggero, effimero, che peraltro non scalfiva le sue convinzioni di fondo. La sua idea di comunismo, come orizzonte necessario, echeggiava quello che disse Ingrao in un comitato centrale del Pci dopo la svolta di Occhetto.

«Aggiungerei una citazione di Eduardo Galeano, grande scrittore latinoamericano, che piacerebbe poeticamente a Ingrao: ‘Più ti avvicini all’orizzonte, più questo si allontana. Non può che essere così’. È il destino delle utopie“‚ disse Aldo in un incontro seminariale per ricordare Lucio Magri a Rimini, il 27/28 novembre scorsi.

E fu in quella sede che Aldo indicò l’approdo del suo lungo e fecondo percorso politico e culturale a sinistra, che poi avrebbe ribadito in un articolo per il manifesto dopo la vittoria in Cile di Gabriel Boric, alla guida di «una coalizione che all’italiana potremmo chiamare di centrosinistra largo». E continuava: «Con il neopresidente cileno sembra prendere forma una nuova sinistra latinoamericana meticcia plurale nei riferimenti culturali e ideali: ecologismo, femminismo, socialismo e tracce di neocomunismo oltre all’orizzonte dei diritti sociali e civili. Una lezione per le sinistre latinoamericane, ma anche per le nostre sinistre». Anche il modo in cui era presente sui social, su Facebook in particolare, era l’opposto di quello gladiatorio tanto di voga oggi, anche a sinistra, era un modo intelligente, colto e spesso condito d’ironia.

Celeste Ingrao è perfetta nel descriverlo: «Ogni giorno, o quasi ogni giorno, ci proponeva una splendida foto di qualche grande attore o attrice (soprattutto attrici in verità). Un omaggio alla nostra memoria, al cinema e alla bellezza. Ogni giorno, o quasi ogni giorno, ci proponeva poi una immagine di Testaccio, il quartiere di Roma in cui viveva e che evidentemente amava molto. A volte una panchina, a volte un bar, in cui Aldo nelle sue passeggiate quotidiane si incontrava con amici e vicini di casa. Ricostruendo e valorizzando quel senso di comunità che permette a una zona urbana di chiamarsi “quartiere” e che purtroppo è andato perduto in tanta parte della nostra città».

Intellettuale e militante impegnato in tante battaglie, fin dal suo approdo giovanile a Roma, quando il manifesto era agli inizi, Aldo era un ottimo giornalista e saggista, capace di affrontare temi di politica, di cultura, di costume, con grande professionalità, sapendo anche tenere sotto controllo le sue passioni, che erano molto forti. Lo dimostrò bene nel periodo in cui fu cronista parlamentare dell’Asca, ottima agenzia ma certamente distante dalle sue idee politiche. Tra i compagni delle generazioni seguenti a quelle dei fondatori del Manifesto, è non a caso tra i più considerati e conosciuti, come lo è tra i colleghi giornalisti a Montecitorio e nei giornali. Lo dimostrano le tantissime attestazioni di stima, affetto e dolore, nella sinistra e nel mondo giornalistico, che riempiono i social già nelle ore subito dopo la diffusione della notizia della sua scomparsa.