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Aldo Bonomi: «Renzi non capisce la società di mezzo»

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Intervista «Rottama i corpi intermedi ma non pensa alla rappresentanza delle vittime della crisi. Questo spazio vuoto lo devi riempire altrimenti qualcuno lo fa al posto tuo». Analisi del voto alle regionali: il rilancio del nazional-populismo della Lega di Salvini, il ruolo del Movimento Cinque Stelle. E la coalizione di Landini

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 3 giugno 2015
Il sociologo Aldo Bonomi autore, tra l'altro, di
Il sociologo Aldo Bonomi autore, tra l’altro, di “Capitalismo in/finito” (Einaudi)

Per il sociologo Aldo Bonomi Renzi non capisce la società di mezzo. «Nel Nord-Est parla ai vincenti della globalizzazione – afferma – Riscuote l’empatia degli imprenditori dei distretti che hanno saputo usare la crisi come un’occasione, ma raccoglie l’ostilità di quelli che sono stati travolti dal fallimento delle reti di prossimità o dei distretti monoprodotto. In questi settori il discorso anti-euro e anti-Europa funziona perfettamente». In Toscana, o in Umbria, dove il Pd ha rischiato grosso, «cerca di tenere insieme un modello che si è rotto. Per dirla con una battuta geografica, queste elezioni regionali hanno dimostrato che il post-leghismo ha esondato oltre il Po, si è collocato con una posizione nazional-populista sulla linea del Piave e carsicamente attraversa l’Italia di mezzo. Fossi in lui sarei molto preoccupato e non indulgerei nella sottocultura dominante per cui conta solo il 41% delle Europee e si passa il tempo a delegittimare le municipalità, le regioni, i territori, tutto ciò che sta in mezzo tra il potere nazionale, il cittadino e l’Europa».

Renzi dice invece di avere vinto le elezioni: 5-2. È forse vittima di un’autosuggestione?
Renzi e i suoi non vedono i processi profondi che alimentano potentemente il leghismo-forzista, quella mistura di nazionalismo e xenofobia razzista che ha portato Salvini ad essere secondo partito in Toscana, ad avanzare in Umbria e Marche, a far vincere Toti in Liguria, a stracciare la Moretti con Zaia in Veneto. Non dicono nulla sull’astensionismo e sulla disaffezione verso la politica che già erano emerse nelle regionali in Emilia Romagna e domenica scorsa sono esplosi. Il campanello d’allarme doveva suonare dopo la scarsa affluenza alle primarie del Pd in Veneto. Non l’hanno sentito. Il Pd deve ricominciare a parlare con quella parte dei distretti produttivi in difficoltà anche dell’Italia di Beccattini e di Foà che raccontavano il metalmezzadro alla Merloni di Fabriano che oggi, con la crisi di Whirpool, è in grande difficoltà. Anche l’Italia borghigiana, quella sintesi di agricoltura, paesaggio, manutenzione del territorio, forme civiche di partecipazione, è stata un tema i temi della campagna elettorale in Liguria. Il migliore interprete è stato il movimento Cinque Stelle, non Raffaella Paita.

Ma allora come sono andate queste elezioni?
Per capirlo bisogna fare un’analisi politica fondata sulla composizione sociale e produttiva dei territori. Partendo da tre elementi: l’aumento della povertà assoluta e relativa che produce il rancore degli ultimi; la spaccatura profonda dentro il ciclo produttivo; la tutela del territorio. Sono temi molto concreti che sono stati interpretati anche dal nazional-populismo di Salvini e dal populismo dolce dei grillini, molto poco dal Pd.

Renzi ritiene di avere risposto alla povertà dilagante solo con gli 80 euro e con il Tfr in busta paga. E sembra lontano mille miglia dai territori. Non è andato a Genova dopo l’alluvione, ad esempio. Sono elementi che lo hanno penalizzato?

Sì. Questo succede quando si destruttura tutto ciò che sta in mezzo: la rappresentanza degli ultimi, dei pensionati, dei senza casa, i sindacati, il commercio o gli artigiani. Questo spazio vuoto lo devi riempire altrimenti qualcun altro lo fa al posto tuo. Il presidente del Consiglio non ha una visione della società di mezzo, La sua parola d’ordine è una sola: rottamare e modernizzare dall’alto. Ma si deve porre il problema della ricostruzione, altrimenti rischia di restare sotto le macerie. Questo avviene quando le elezioni riguardano la dimensione intermedia.

Le indagini dimostrano che la componente irregolare nell’immigrazione è al minimo storico, mentre imprenditori del rancore xenofobo come Salvini conoscono successi elettorali. Come si spiega questo fenomeno?

Le migrazioni sono processi drammatici ma intelligenti. Con la crisi hanno registrato un rallentamento. Purtroppo in Italia non abbiamo una memoria storica di questi processi e dimentichiamo che sono compatibili con la nostra società. L’Europa è indifferente e non adotta l’unica soluzione possibile: creare corridoi umanitari per i profughi. Salvini sfrutta la sindrone dell’invasione e il capro espiatorio. La prima l’abbiamo già vista nel 1991 con la fuga di massa dall’Albania. Il secondo funziona da sempre: basta un fatto di cronaca su un Rom venduto sul mercato della politica e scatta la caccia al capro espiatorio.

Salvini può essere credibile anche a Roma, e sotto Roma, dove tutt’al più aggrega gruppi neofascisti?

Se la sinistra non inizia a porsi il problema dell’emergenza umanitaria della moltitudine, delle periferie, degli ultimi, dei senza casa e lascia tutto in mano al rancore e alla politica della ruspa è chiaro che, prima o poi, gli imprenditori del rancore saranno riconosciuti come i difensori dei ceti sociali in difficoltà anche al Sud. L’Italia è spaccata come una mela: c’è un pezzo tedesco e un altro greco. Al Nord c’è un capitale territoriale simile alla Germania e un Sud che sopravvive con indicatori simili alla Grecia. È un processo consolidato. Se non lo si contrasta, questi elementi sono le tracce dove lavora il nazional-populismo.

Quale ruolo potrebbe giocare un’iniziativa come quella della coalizione sociale di Landini?

Landini sta affrontando la vera questione: la crisi della società di mezzo. Condivido quando dice di non volere fare un partito politico, lui sta cercando di mettersi in relazione con il mutamento della composizione sociale. In Italia esiste un’enorme domanda di rappresentanza pre-politica. Il suo simbolico rivolgersi a Gino Strada e Don Ciotti è una metafora sociale che invita il sindacato ad occupare uno spazio abbandonato, quello delle povertà e dei lavoratori poveri. Il sindacato deve innovarsi confrontandosi con tutti i problemi del lavoro autonomo e dell’innovazione. È un segnale importante che tutto il sindacato non dovrebbe sottovalutare. Così come non dovrebbe farlo Renzi che li guarda dall’alto, con una pura logica politica, definendo tutto questo minoranza della minoranza.

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