Al voto una Lombardia fabbrica di armi e testa di lancia della destra
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Al voto una Lombardia fabbrica di armi e testa di lancia della destra

Regionali Non basta denunciare una cattiva politica, spesso corrotta. Ma dare fiato a una cittadinanza ricca di comunità solidali che il centrodestra si augura diserti le urne
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 3 febbraio 2023

La minaccia climatica, drammatizzata dall’escalation degli scontri bellici, si fa di giorno in giorno più irreversibile. Il futuro si rappresenta nella metafora del “Doomsday Clock” che segna meno di 900 secondi all’Apocalisse. E’ in questo quadro di cui poco si discute che La Lombardia si trova impegnata in una campagna elettorale insolitamente breve.

La regione era, a fine del millennio, la più florida d’Italia: tuttavia la sua corsa cominciava a frenare. Non solo perché la sua capitale – Milano – assumeva un rango internazionale a spese di una periferia declassata, ma anche per il languire negli storici distretti industriali di una manifattura competitiva, ma non più in funzione strategica, ridotta a indotto delle multinazionali. Un declino ben visibile nella sanità che, a seguito delle incursioni private, perdeva integrazione col territorio per distinguersi in una concorrenza fatale per i diritti degli assistiti.

Eppure, nonostante gli attacchi delle giunte Formigoni, è rimasta viva ancor oggi una tensione sociale verso una società della cura, animata da diffuse pratiche di un volontariato che cerca di supplire al regresso del pubblico, memore ancora del robusto legame che scienziati e medici a vocazione popolare tenevano con le organizzazioni dei lavoratori e dei delegati nelle fabbriche (si pensi a Maccacaro, Laura Conti, Berrino, Luigi Marra, i libretti sanitari di rischio, la fondazione Ambiente-Lavoro).

La pesante torsione, da diritto ad assistenza caritativa, è stata guidata dalla politica in una anticipazione di portata nazionale.

Le prossime elezioni hanno però alle spalle la predicazione di Bergoglio e una consolidata coscienza laica del legame stretto tra giustizia climatica e giustizia sociale. Possibile che questo arco drammatico di tempo, che ha visto seccare i fiumi, sparire la neve, balenare lampi di guerra ad ogni accensione di Tg, non agisca sui risultati del 12 Febbraio? Tocca alla sinistra trasformare lo spazio in tempo, cioè prevedere sulla base delle emergenze che ci circondano quale futuro costruire per garantire la sopravvivenza umana e della natura dando un senso al tempo di lavoro e all’occupazione.

I responsabili ed eredi del declino (da 28 anni governano le destre) si prodigano ad affastellare riunioni con ministri schierati in bella vista, o a visitare con pullman itineranti i luoghi di assistenza caritativa o le scuole parificate verso cui le loro Giunte sono state prodighe, raccontando una Lombardia autosufficiente, chiusa nella frottola dell’autonomia differenziata.

Per vincere non basta denunciare un’amministrazione spesso corrotta. Occorrerà dar fiato ad una cittadinanza ricca di fermenti, associazionismo, intelligenze, comunità solidali, luoghi che uniscono sapere a convivialità: una società sconosciuta al centrodestra, che si augura semplicemente che quel patrimonio collettivo non vada al voto.

L’esperienza da me vissuta nell’Associazione laica della “Laudato Sì”, a contatto con gli ultimi della Casa della Carità di Colmegna, mi aiuta a capire come non si possa far politica senza porre a discriminanti il clima, le guerre, il pericolo nucleare, le disparità sociali e sul lavoro, le migrazioni. Ed è per questo che l’educazione e la scuola, il degrado della biosfera e una guerra insensata di cui siamo cobelligeranti, devono essere portati all’attenzione di chi ha il dovere di votare, oggi più che mai.

L’educazione e la scuola, perché in Lombardia non si è fatto nulla per la formazione degli insegnanti su clima, energia, scarti e vivente, se non nel campo del volontariato, che, non a caso, presenta nelle liste che sostengono Majorino una candidata che proviene dall’Associazione “Laudato Sì”.

La guerra, perché la società e la struttura economica della Lombardia, sede dell’arsenale Nato militare e soprattutto nucleare, oltre che del più nutrito settore di produzione militare aerospaziale e delle armi leggere, non ne sono affatto estranee. Qui Leonardo conta su sette unità produttive di elicotteri, velivoli, droni per le guerre. In termini di fatturato è la prima impresa militare nella Ue. Vende caccia all’Arabia Saudita, per far stragi di civili in Yemen, mentre gli elicotteri Agusta sono usati dalla Turchia contro i Curdi. C’è da chiedersi: cosa stiamo inviando da qui in Ucraina, visto che gli elenchi sono secretati?

I cacciabombardieri F35 vengono dispiegati a Ghedi (Brescia) per il trasporto di 40 bombe termonucleari B61-12 in sostituzione delle B61-3 e 4. Le nuove bombe sono la prima arma nucleare adattabile a rese diverse, da 0,3 a 50 chilotoni e possono avere sia un uso tattico, sia arrivare ad esplodere sotto la superficie terrestre con una resa equivalente ad 83 bombe di Hiroshima.

Il successo di Majorino sarebbe più che un granello di sabbia nell’ingranaggio del truce armamentario delle destre al governo. Perciò sarebbe bene che gli elettori lombardi riflettessero anche su tutto quanto potrebbe drammaticamente accorciare il futuro delle nuove generazioni

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