Alla nostra mente, e al nostro cuore, le elezioni di oggi e domani non danno conforto. Centrosinistra diviso e indebolito, centrodestra a cavallo dell’onda del 25 settembre. Non il miglior viatico per recarsi alle urne.
Il pessimismo dell’intelligenza ci dice che le forze democratiche usciranno sconfitte da questa tornata regionale, annunciano un’altra batosta nazionale dopo quella che ha portato al governo le peggiori destre di sempre.

Eppure il pensiero gramsciano stimola il nostro residuo ottimismo, perché pur sapendo che le urne saranno molto severe, anche le lezioni fortemente negative possono aiutarci a capire meglio chi siamo, e che cosa possiamo e dobbiamo fare nel prossimo futuro. Con la certezza che il cammino da percorrere sarà molto lungo e che probabilmente solo le generazioni più giovani riusciranno a invertire la tendenza autopunitiva che contagia i partiti progressisti e di sinistra.

E la prima lezione dobbiamo impararla proprio dai nostri avversari, dalle destre, che pur nella diversità sono state capaci di creare una alleanza vincente. La stessa alleanza che ripropongono in Lombardia e nel Lazio per conquistare sempre più potere di controllo sul nostro Paese. Dobbiamo riconoscere alle destre, se vogliamo essere sinceri, l’essere state più capaci di costruire un progetto di lunga durata. Pur sapendo che al loro interno qualcuno sta pagando un caro prezzo in termini di consensi elettorali (come è accaduto, e come prevedibilmente si ripeterà nel voto di oggi e domani, alla Lega a favore di Fratelli d’Italia).

Noi progressisti, noi di sinistra abbiamo sempre pensato di essere più intelligenti, più colti, più preparati ad affrontare le difficoltà di governare, una città, una regione, un paese intero. Ma la realtà ci ha imposto – e ci impone – altre verità. Prima ne prendiamo atto fino in fondo, meglio è. E i primi che devono fare uno sforzo di consapevolezza sono il Pd e il M5S. Due forze politiche a tal punto autoreferenziali da non vedere che, senza una alleanza, le umiliazioni elettorali saranno costanti.

In Lombardia si è giunti alla candidatura del dem di sinistra Majorino dopo aver cercato, il Pd, l’imbarazzante trattativa con Moratti. Ma almeno, raggiunto alla fine l’accordo, l’elettore di sinistra vota un campo largo con Pd, 5Stelle e forze minori, mentre la divisione tra centristi e destre gioca come incentivo per tentare di giocare la partita.
All’opposto, nel Lazio, per l’elettore di sinistra senza tessera sarà dura. Il no di Conte a D’Amato ha di fatto spianato la strada al candidato uscito dal cilindro di Meloni. Dall’altra parte, mettersi d’accordo con Calenda e con Renzi, senza se e senza ma, è sembrata un’operazione fotocopia di quell’atteggiamento, arrogante non meno che masochista, del Pd di Letta quando, alle elezioni politiche, il segretario piddino chiuse la porta in faccia a Conte sventolando nientedimeno che l’agenda Draghi.

Certo, se uno pensa soprattutto a se stesso (come fa il leader del Movimento), se ha come principale obiettivo guadagnare qualche punto in più rispetto al “concorrente”, non si va molto lontano. Se al contrario la posta in gioco è il governo del paese, allora bisogna ragionare diversamente. Avendo la capacità di non essere bugiardi con se stessi.
Guardiamo il Lazio, dove Pd e M5S hanno governato insieme. Perché si presentano al voto di domani separatamente? Non c’è alcuna buona ragione, tranne il desiderio di mettere qualche bandierina in più nel consiglio regionale, e soprattutto contare quanti punti in più (o in meno) avranno le liste di partito.

Il Pd, in mezzo al guado delle primarie, non può permettersi di andare sotto rispetto al consenso politico nazionale (19,2% in Lombardia, 18,3% nel Lazio, peraltro con la lista personale di D’Amato che potrebbe creargli qualche problema). E soprattutto non può permettersi di andare sotto alla percentuale di voti dei 5Stelle che nel Lazio il 25 settembre hanno raccolto il 14,8%.

Non era meglio ragionare e confrontarsi sulle cose fatte bene, come ad esempio la gestione della Pandemia (della quale va riconosciuto il merito al candidato D’Amato)? Non era meglio accantonare i progetti divisivi, puntando alle numerose necessità dei cittadini del Lazio? I quali, tuttavia, potranno esercitare la facoltà del voto disgiunto, e dunque votare il candidato-presidente che ha più probabilità di farcela (per il regolamento elettorale solo il secondo piazzato entra in consiglio regionale), dando invece il voto alla lista che maggiormente lo rappresenta.

E qui siamo al paradosso: nella regione Lombardia dove l’alleanza è tra forze più deboli, Pd e M5S vanno al voto insieme. Nel Lazio invece, pur essendo più forti per aver governato, ognuno va per conto proprio.
Date le premesse, non si prevedono masse popolari in fila ai seggi. Viceversa la posta è alta, non solo perché sono chiamati al seggio 13 milioni di cittadini, ma soprattutto perché ballano i miliardi delle politiche sanitarie che, dopo la tragedia del Covid, e con la prospettiva della legge scassaitalia di Calderoli, avrebbero bisogno di una radicale svolta, di invertire la rotta dal privato al pubblico.

Oggi e domani andremo comunque a votare. E’ importante marcare una presenza che sia la più significativa possibile. Intelligenza e volontà, anche se adesso scarseggiano nei “nostri ranghi”, nessuno ce le può togliere.