Al Tempio sfila il «G7 del centrodestra». Michetti: «Io come De Gasperi nel 1946»
Ballottaggi I leader a Roma per spingere il loro candidato. Meloni: «Hanno voluto creare un mostro». Cesa: «M'incazzo se gli danno del fascista...»
Ballottaggi I leader a Roma per spingere il loro candidato. Meloni: «Hanno voluto creare un mostro». Cesa: «M'incazzo se gli danno del fascista...»
Visto che, dopo lo scivolone sugli ebrei «banchieri e lobbisti», la storia non gli ha finora portato molta fortuna, Enrico Michetti ci riprova. E così, per scrollarsi di dosso il marchio di estremista di destra («È la sinistra che ha voluto dipingere un mostrooooo», l’accusa di Giorgia Meloni) ieri si è paragonato a De Gasperi, «il mio mito assoluto, ché io sono un cristiano cattolico», ha ripetuto fino allo sfinimento.
Addirittura al De Gasperi che alla conferenza di pace di Parigi del 1946 esordisce solenne: «Sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me». «Proprio come in questa campagna elettorale», ragiona l’avvocato e candidato del centrodestra. «Tutto era contro di noi…tranne il fatto di avere una coalizione unita con cui condividiamo gli stessi valori». «Ho subito così tanti attacchi che ho scoperto di essere un buon cristiano, perché ho sempre porto l’altra guancia…», spiega Michetti.
Tempio di Adriano, centro di Roma, ieri mattina. Davanti ai cronisti si para il G7 del centrodestra, da sinistra Vittorio Sgarbi, Antonio Tajani, Giorgia Meloni, Enrico Michetti, Matteo Salvini, Lorenzo Cesa e Maurizio Lupi. La difficile mission è rianimare il candidato. «Una campagna elettorale indecente, ci hanno impedito di parlare dei problemi di Roma», esordisce Giorgia, la padrona di casa. «Ci hanno interrogato su temi che non hanno nulla a che fare con la città…».
Meloni, come anche Salvini, schiuma rabbia per le polemiche sulle frasi di Michetti sulla Shoah e per l’attacco alla Cgil da parte di Forza Nuova: «C’è stato un killeraggio». Il leghista tuona: «Le forze dell’ordine non sono riuscite a fermare 5 imbecilli criminali senza idee politiche». E ancora: «Rischiamo di perdere un milione di posti di lavoro e si pensa di fare un esame di storia a Michetti? Fascismo e comunismo sono stati sconfitti dalla storia!».
Sgarbi non è d’accordo. Mentre tutti parlano seduti, lui si alza e va al palchetto: «Sento parlare di fascismo che è fijito da 70 anni, ma il comunismo c’è ancora: Cuba, la Cina, la Corea del Nord». Pausa: «Gualtieri non ha una squadra, Michetti ha me, Simonetta Matone, Bertolaso. E ho chiesto anche al generale Figliuolo di darci una mano». Cesa ne approfitta: «Qui in sala ci sono anche dei nostri bravissimi che potrebbero assumere dei ruoli…».
Ma la giornata è nervosa e così anche il moderato Cesa s’infiamma. «Io m’incazzo proprio se sento dare a Michetti del fascista, io questo ragazzo lo conosco da sempre, viene dalla parrocchia». Interviene Salvini: «Mi piace, vai avanti, io farò il moderato e ti richiamo all’ordine, non usare questi toni…». Risate.
Cesa insiste: «E poi la Resistenza non l’ha fatta solo la sinistra, io ho la bandiera della brigata partigiana di Giovanni Marcora!». Poi si lancia in una improbabile citazione di Pasolini: «Dividere la politica tra fascisti e antifascisti significa che non c’è più pensiero».
Tajani non vuole essere da meno: «A porta San Paolo c’erano anche militari italiani che difendevano la città, io sono figlio di militari, lo devo dire». E poi, certo, «Salvini quando era giovane padano aveva fatto una lista di comunisti padani» . E insomma, «noi sulla storia non accettiamo lezioni da chicchessia», tuona il numero due di Forza Italia. «Le violenza le abbiamo condannate, basta strumentalizzazioni, anche Giorgia è stata chiarissima…».
Più che una conferenza stampa è un monologo a 7, un Hyde Park Corner in cui ognuno grida quello che gli sta sul groppone. Una sorta di terapia di gruppo. Poi c’è anche lo spazio per la firma del «patto per Roma», una sorta di contratto coi romani mutuato da quello di Berlusconi nel 2001 negli studi di Vespa. Un manifesto che se ne sta triste e solitario appeso a un leggio, con impegni sulla riforma della governance della Capitale, poteri commissariali sul modello Genova per le infrastrutture, decentramento più una dotazione di 500 milioni annui per cinque anni. Foto di gruppo per le firme, certo manca Berlusconi, quello vero, e si vede.
Ma alla fine il richiamo per la storia è irresistibile. Meloni, prima di lanciarsi in un’intemerata contro la ministra Lamorgese, si mette a elencare: «Anche noi avremmo potuto andare a cercare le frasi di Gualtieri del 1985 quando era un giovane comunista, o spulciare sui social cosa scrivevano i candidati dei centri sociali che erano nelle sue liste. Avremmo potuto..».
«Con l’odio non si governa, io sono per la pace», chiude Michetti. Inseguito dai cronisti per delle dissertazioni su Hitler e la Wermacht nella sua Radio Radio (ieri le ha scovate Repubblica), risponde: «Ho fatto 200 puntate trattando tanti personaggi, da Giulio Cesare a Napoleone, Lenin e Andreotti. E non c’è nulla. Adesso però basta con queste cose…».
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