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Al-Raisi: «La religione non c’entra, la guerra tra Arabia saudita e Iran è per l’egemonia»

Al-Raisi: «La religione non c’entra, la guerra tra Arabia saudita e Iran è per l’egemonia»Protesta in Iran dopo l'uccisione da parte dell'Arabia saudita dello sheikh sciita Nimr al-Nimr

Medio Oriente Intervista alla ricercatrice Lara al-Raisi: «Dalla Siria allo Yemen, iraniani e sauditi sono passati dalla provocazione alla guerra per procura, non esitando a coinvolgere altri paesi della regione»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 22 aprile 2018

«Iran e Arabia saudita si ergono a difensori dei due rami dell’Islam e combattono quella che sembra una guerra di religione, ma la fede è strumentale a molteplici interessi geopolitici ed economici. Per sconfiggere l’avversario, sono pronti a tutto».

Esordisce così la ricercatrice Lara al-Raisi dell’Università Mohamed V di Rabat, autrice del volume Iran – Arabie Saoudite. Le choc des Titans appena dato alle stampe dall’editore francese Erick Bonnier (pp. 272, 20 euro). La feroce ostilità tra Teheran e Riyadh è evidente dalla rivoluzione del 1979 che ha trasformato l’Iran in una Repubblica islamica. Da quel momento, i due paesi hanno scatenato una guerra con ripercussioni in tutto il Medio Oriente, senza esclusione di colpi.

Quanto pesa il petrolio nello scontro tra Iran e Arabia Saudita?

I sauditi ritengono che un aumento del prezzo del barile vada a favorire l’Iran, per questo ci tengono a imporre le loro decisioni in seno all’Opec, il cartello dei paesi produttori di petrolio in cui Teheran è al secondo posto. Pur essendo in una posizione di rilievo, gli iraniani non riescono però a fare accettare la propria politica di minore produzione a prezzi più elevati.

Perché Washington è sempre dalla parte dei sauditi, nonostante il loro coinvolgimento nel terrorismo internazionale?

I sauditi garantiscono agli americani rifornimenti di energia continui e a buon mercato: finché il mondo dipenderà dal petrolio, Washington non potrà fare a meno di Riyadh. Per questo motivo, i cittadini sauditi non rientrano nel decreto di Trump contro i musulmani, anche se ci sono stati numerosi attentati di matrice saudita, tra cui la partecipazione di quindici sudditi del regno agli attacchi dell’11 settembre. L’alleanza con gli Stati uniti resta salda anche perché condividono una serie di interessi strategici fin dalla rivoluzione iraniana del 1979, quando Riyadh diventa il solo pilastro della politica estera americana nel Golfo.

Come spiega la recente alleanza tra Arabia saudita e Israele?

Condividono le stesse paure nei confronti di Teheran, soprattutto per l’espansione del programma iraniano di missili a lunga gittata che potrebbero colpire sia i paesi del Golfo sia lo Stato ebraico.

Perché nel suo libro lei definisce quella tra Teheran e Riyadh una guerra fredda?

Perché non c’è confronto diretto e si scontrano altrove, obbligando i paesi vicini a prendere posizione.

In questa guerra tra titani, perché la Siria è diventata terreno di scontro?

È l’unico paese arabo con cui Teheran ha relazioni solide e al potere a Damasco ci sono gli Assad che appartengono alla minoranza alawita, sciita. Questa alleanza dà fastidio all’Arabia saudita, ma per decenni le tensioni tra Riyadh e Teheran non avevano pregiudicato la stabilità siriana. A cambiare la situazione è stata la primavera araba e, con essa, le proteste dei sunniti che hanno dato ai sauditi il pretesto per interferire. Ora, se per gli iraniani l’obiettivo è mantenere in sella gli Assad, i sauditi vogliono invece dare vita a un regime sunnita a loro alleato. Cambiando così gli equilibri regionali.

Un altro campo di battaglia è lo Yemen: in quale misura l’Iran sostiene i ribelli Houthi e perché questa minoranza sciita è percepita dai sauditi come un pericolo?

Arabia saudita e Iran approfittano delle crisi in essere nella regione per indebolirsi l’un l’altro. Nel caso dello Yemen il conflitto è stato reso ancora più evidente dalla convivenza sul territorio di sunniti e sciiti, questi ultimi appartenenti alla setta zaidita.

Da decenni gli Houthi lamentano le infiltrazioni salafite, di matrice saudita, nella regione settentrionale di Sa’da…

Sì, da decenni gli Houthi portano avanti le loro istanze di autonomia e l’Iran cerca di aiutarli, fornendo loro armi e sostegno a livello internazionale. Se l’Arabia saudita è intervenuta militarmente, è stato per scongiurare la creazione di uno Stato zaidita e quindi sciita. Per Riyadh, lo Yemen è molto importante, per la contiguità geografica.

Qual è stata l’evoluzione della guerra fredda tra Teheran e Riyadh?

Iran e Arabia saudita sono passati dalla provocazione alla guerra per procura, non esitano a coinvolgere altri paesi della regione e nel 2016 avevano rotto i rapporti diplomatici.

La rottura dei rapporti diplomatici è avvenuta quando i sauditi avevano impiccato e crocefisso l’ayatollah (saudita) Nimr al-Nimr, gli iraniani avevano reagito attaccando le sedi diplomatiche saudite a Teheran e Mashhad. Lei intravede una qualche soluzione?

Le alleanze si stringono e si rompono. Le guerre vengono scatenate e i paesi distrutti. Il tutto per alimentare il conflitto. La linea rossa è stata più volta superata. Non ci sono passi avanti. Difficile pensare a una soluzione nel breve periodo, anche perché la religione viene strumentalizzata.

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