Il mercato delle cittadinanze in Turchia non è una novità, dal 2018 Ankara offre passaporti in cambio di investimenti nella (disastrata) economia nazionale. A segnare una svolta è l’impennata di cittadini russi che approfittano dell’offerta: se negli anni passati erano per lo più iraniani, afghani e iracheni a investire in proprietà immobiliari turche (soprattutto nelle zone più ricche di Istanbul e Antalya, città turistica che affaccia a sud), ora la nazionalità russa ha scalato la classifica. E lo ha fatto a partire da aprile 2022, due mesi dopo l’invasione dell’Ucraina e il via all’ondata di sanzioni che ha investito gli imprenditori russi, in cerca ora di un passaporto pulito con cui bypassarle.

Se tra gennaio e marzo di quest’anno, secondo l’istituto di statistica Turkstat, il numero di immobili acquistati da russi in Turchia è oscillato tra le 479 e le 547 unità, ad aprile è raddoppiato (1.152) e poi è continuato a salire: 1.275 a maggio e 1.887 a giugno, per un totale di 5.849 abitazioni nei primi sei mesi dell’anno. Insomma, se a gennaio i russi prossimi neo-turchi sono stati l’11% del totale, a giugno sono raddoppiati, il 22%.

UNA PORTA GIREVOLE con cui investire patrimoni considerevoli e rientrare – dalla finestra – nel mercato internazionale: prima comprano un immobile, immettendo denaro nell’economia turca, poi diventano cittadini turchi e infine continuano i loro business senza temere le sanzioni internazionali.

Perché un simile trucco non è ovviamente alla portata del cittadino russo medio. La legge turca prevede un investimento di almeno 400mila dollari per poter fare domanda di cittadinanza, valore modificato lo scorso giugno rispetto ai 250mila dollari necessari fino allo scorso anno (e che avevano permesso a 20mila stranieri di comprarsi il passaporto), in risposta alle polemiche sulla facilità di sfruttare il sistema «cittadinanza da investimento».

Numeri ufficiali non esistono, ma basta una moltiplicazione: 20mila nuovi passaporti per 250mila dollari di investimenti base sono pari a cinque miliardi; 2,3 miliardi, invece, dagli investimenti base russi da 400mila dollari nei primi sei mesi dell’anno. Probabilmente, nelle casse turche ne sono entrati molti di più.

IL FLUSSO DI RICCHI RUSSI verso le assolate coste turche ha già allarmato gli Stati uniti: a giugno il vice segretario al Tesoro, Wally Adeyemo, in visita ad Ankara ha avvertito del rischio che il sistema possa sfociare nel «finanziamento illecito». Da parte turca, come riporta la stampa locale, si mettono le mani avanti: non si tratta di oligarchi legati al Cremlino, ma semplici famiglie benestanti in cerca di serenità. Come sia, resta un dato: la Turchia del presidente Erdogan prosegue nell’opacità per garantirsi il ruolo di mediatrice che si è ritagliata, con successo.

Dietro le quinte, il gioco si traduce in sostegno economico indiretto: la Turchia è oggi uno dei principali porti di transito di beni destinati al mercato russo. Prodotti, spiega il quotidiano Dünya, provenienti da Europa e Asia che, causa sanzioni, non possono più essere spediti negli scali turchi: transitano così per quelli turchi dopo un astuto cambio di container. Flussi spesso facilitati proprio dai russi neo-turchi e dalle loro nuove compagnie di intermediazione.