Al gioco del Pil l’Italia resta ultima, crescita meno intensa all’orizzonte
Previsioni della commissione Ue e dell'Istat. il nostro paese resta maglia nera nell'Unione Europea a 28 anche dopo la revisione del Pil. Indagine sui motivi strutturali di una ripresa sempre più evasiva a partire dai bassi salari e dall'alta precarietà
Previsioni della commissione Ue e dell'Istat. il nostro paese resta maglia nera nell'Unione Europea a 28 anche dopo la revisione del Pil. Indagine sui motivi strutturali di una ripresa sempre più evasiva a partire dai bassi salari e dall'alta precarietà
Anche dopo la revisione al rialzo del prodotto interno lordo effettuata dalle stime invernali della Commissione Europea rese note ieri, l’Italia resta ultima tra i paesi comunitari per la crescita. Se si esclude la Gran Bretagna, dopo il «Brexit» ormai considerata fuori dall’Ue, l’economia nazionale è ben al di sotto della media europea stimata al 2,4%. L’Italia è all’1,5% nel 2018. Nel 2019 il Pil calerà all’1,2%. Il trend è dunque chiaramente decrescente. Anche la Grecia sta facendo meglio: dopo l’1,6% del 2017, quest’anno il Pil sarà superiore alla media europea: il 2,5%.
Una valutazione coincidente è arrivata dall’Istat, sempre nella giornata di ieri. La crescita prosegue, sostiene l’istituto nazionale di statistica, ma sta rallentando. Nella prima nota mensile del 2018 sull’andamento dell’economia si parla di «minore intensità». Il calo sarebbe avvenuto in particolare nel settore manifatturiero, mentre si conferma la tendenza all’export, vista anche la buona salute del commercio mondiale che sta trainando l’economia italiana. Ma, appunto, si tratta di un effetto trascinamento, mentre si confermano i fondamentali che abbiamo osservato nel biennio in cui la «crescita» è tornata a fare capolino dopo gli anni della devastazione provocata dalla crisi.
Secondo le previsioni dell’Istat restano sul tavolo alcuni dei problemi della «crescita evasiva» italiana. Pur tornando ad avere una minima disponibilità di reddito, le famiglie tendono a risparmiare, e non a spendere o investire. Il reddito disponibile è infatti aumentato ad un tasso più elevato (+0,7% in termini congiunturali). Questo ha determinato «un significativo incremento della propensione al risparmio». Atteggiamento prudente più che giustificato che, a sua volta, è indice di una scarsa fiducia nell’economia o nella possibilità di uscire indenni dal deserto di precariato e povertà che stiamo attraversando. A conferma va riportata questa valutazione: «Comportamenti prudenziali da parte delle famiglie sono attesi proseguire anche nei prossimi mesi». Morale: la crescita c’è, ma sono in pochi ad esserne rassicurati.
Approfondendo le ragioni di questa evidente contraddizione tra l’ottimismo di facciata dei Palazzi (a Roma e a Bruxelles) e la situazione materiale delle famiglie e dei lavoratori va citato un altro aspetto dell’analisi dell’Istat a proposito del mercato del lavoro funestato dai contratti a termine che macinano record su record. Il lieve calo della disoccupazione e, addirittura, l’arretramento del tasso di occupazione, sta avvenendo « in un clima di moderazione salariale: nel 2017 le retribuzioni contrattuali orarie e per dipendente sono aumentate dello 0,6% rispetto all’anno precedente». Questo è l’elemento chiave della «crescita evasiva» italiana. Ed è confermato anche in un passaggio della Commissione Ue a proposito della «moderazione» dell’inflazione di fondo. Qui si parla di un «ristagno del mercato del lavoro che migliora solo lentamente e di pressioni salariali che rimangono contenute».
La «crescita» è questa: più precariato, bassi salari, più povertà. E cosa dice il commissario Ue all’economia Pierre Moscovici? Le «riforme» devono «continuare» anche dopo il 4 marzo. Proprio quelle che stanno causando il problema. «L’Italia deve essere consapevole che il suo ruolo è al centro dell’Europa» ha aggiunto Moscovici. Uno status tutto da dimostrare. E a quale costo.
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